L’arresto di Pavel Durov riapre il dibattito sulla violenza di genere su Telegram

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L’arresto di Pavel Durov riapre il tema del ruolo tra Telegram e violenza di genere. Ne parliamo con Silvia Semenzin, ricercatrice esperta di violenza di genere online.

Pavel Durov, il fondatore dell’app di messaggistica Telegram, è stato arrestato lunedì 26 agosto all’aeroporto di Le Bourget, in Francia, nell’ambito di un’indagine su reati legati alla pedopornografia, al traffico di droga e alle transazioni fraudolente sulla piattaforma. La procuratrice di Parigi Parigi Laure Beccuau ha diramato un comunicato in cui esplicitato il motivo dell’arresto di Durov, avvenuto nell’ambito di un’indagine a carico di ignoti avviata dall’unità per la criminalità informatica dell’ufficio l’8 luglio.

L’indagine riguarda la sospetta complicità in vari reati, tra cui la gestione di una piattaforma online che consente transazioni illecite, la pedopornografia, il traffico di droga e la frode, nonché il rifiuto di comunicare informazioni alle autorità, il riciclaggio di denaro e la fornitura di servizi di crittografia ai criminali.

L’arresto dell’imprenditore di origine russa, con cittadinanza francese ed emiratina, ha provocato subito diverse reazioni, in particolare per molti si tratta di un attacco alla libertà di espressione e di un’azione politicamente motivata. Il presidente francese Emmanuel Macron, per sedare gli animi, ha pubblicato una dichiarazione su X, negando le accuse e ribadendo il ruolo della Francia nella tutela della libertà di espressione.

Chi è Pavel Durov

Durov è nato nel 1984 a Leningrado, oggi San Pietroburgo. La sua famiglia si è trasferita in Italia quando aveva 4 anni, per poi tornare in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando il padre ha ricevuto un’offerta per dirigere un dipartimento dell’Università Statale di San Pietroburgo. Secondo Forbes, la fortuna è stata stimata in 15,5 miliardi di dollari.

È stato soprannominato il “Mark Zuckerberg russo” dopo il successo del suo social media VKontakte, o VK – che è stata la risposta russa a Facebook – fondato nel 2006, e dalla creazione dell’app di messaggistica Telegram nel 2013 insieme al fratello. Nel 2014 è stato costretto a lasciare la Russia quando si è rifiutato di chiudere gli account dell’opposizione nel 2011 e di consegnare i dati personali dei manifestanti ucraini pro-democrazia nel 2014, durante la guerra del Donbass, e di bloccare il profilo di Alexey Navalny. Si è poi stabilito a Dubai per la facilità di fare affari, che ha descritto in un’intervista come un “luogo neutrale” dal punto di vista geopolitico.

Il Cremlino ha iniziato a bloccare Telegram nel 2018 dopo che la società si è rifiutata di rispettare l’ordine di un tribunale russo di concedere ai servizi di sicurezza statali l’accesso ai messaggi criptati dei suoi utenti. L’azione ha avuto scarso effetto sulla disponibilità di Telegram in quel Paese, ma ha scatenato proteste di massa a Mosca e critiche da parte di diverse ong.

La crescente popolarità di Telegram, tuttavia, ha suscitato l‘attenzione di diversi Paesi europei, tra cui la Spagna e Francia, per problemi di sicurezza e violazione dei dati. A maggio, i regolatori europei hanno iniziato un colloquio con la società per verificarne la conformità con il Digital service act (Dsa), ma proprio pochi giorni fa le autorità belga hanno dichiarato che la piattaforma non può essere soggetta alla normativa europea perché il suo numero di utenti non supera ancora i 45 milioni di utenti mensili. Per questa ragione, Telegram può eludere tutti i divieti imposti dal pacchetto di norme digitali dell’Unione Europea.

La destra in difesa di Durov

In difesa di Durov è arrivata subito la destra internazionale, che sta sfruttando il caso a proprio vantaggio accusando Parigi di violare la libertà di espressione. Tra le figure imprenditoriali più famose e schierate a destra che si sono espresse sul tema spicca Elon Musk, il patron di X che, sul suo social accusa l’Europa di arrestare le persone per dei meme e ha lanciato l’hashtag #freepavel.

Musk sta sfruttando il caso perché a dicembre la Commissione Europea ha aperto un’indagine per verificare la conformità di X al Dsa, in particolare in merito alla moderazione dei contenuti, alla diffusione di fake news e di materiale terroristico. A luglio sono arrivati i primi risultati dell’indagine che confermano la violazione della normativa in merito alla poca trasparenza nell’uso delle spunte blu.

Anche Tucker Carlson, giornalista ex presentatore di Fox News e vicino al’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che a luglio aveva intervistato Durov, ha twittato attaccando l’Europa, descritta come peggiore di Putin. Interessante anche la posizione russa, che, attraverso la sua agenzia di stampa nazionale, ha definito Durov il nuovo Julian Assange.

Telegram e il buco nero della violenza di genere

Se da un lato l’app di messaggistica di Durov viene usata da attivisti per condividere contenuti che, altrimenti, andrebbero persi, esiste un enorme buco nero come l’uso dei gruppi Telegram in cui viene perpetrata violenza di genere di ogni tipo. Dal 2019 in poi sono state pubblicate varie inchieste sugli scambi, spesso violenti e inquietanti, che si possono trovare in questi gruppi.

Del legame tra Telegram e la violenza di genere ne parliamo con Silvia Semenzin, ricercatrice post-doc in Sociologia digitale presso l’Università Complutense di Madrid ed esperta di violenza di genere online.

L’arresto di Durov è il primo vero e proprio caso con cui si persegue un amministratore delegato di una piattaforma digitale. Cosa ne pensi?
Sicuramente è un fatto storico dal punto di vista di ciò che simbolizza, a titolo personale non gioisco quando viene punita una sola persona di fronte a un sistema che non funziona. Lavorando da anni nell’ambiente Telegram e sapendo che è forse la piattaforma in cui c’è meno regolamentazione e meno controllo di tutti i fenomeni illeciti che circolano sulla piattaforma, osservo l’evolversi della situazione con grande attenzione.

Stiamo parlando di un imprenditore multimilionario che negli anni si è sempre rifiutato di fornire alle autorità dati relativi a ciò che di illecito circola sulla sua piattaforma. Durov, proveniente dal mondo hacker, si è sempre mascherato dietro il tema dell’indipendenza, della privacy e della libertà di espressione per rifiutarsi di concedere dati anche per contrastare determinati fenomeni, se non per il terrorismo e la pedopornografia. Per quanto riguarda truffe online, gruppi di neofascisti o di violenza di genere, c’è sempre stato un muro. Anche sul tema della crittografia, è emerso che non è vero che Telegram sia così sicuro come la società ha sempre sostenuto.

Questo arresto è certamente impattante dal punto di vista simbolico, soprattutto nell’Unione europea, dove si stanno prendendo diverse misure in seguito all’entrata in vigore del Digital Service Act e del Digital Market Act, con cui l’Unione cerca di limitare il potere delle Big Tech e di queste piattaforme gigantesche che, fino ad ora, sono state un po’ terra di nessuno.

In questi anni hai lavorato molto sul tema del contrasto alla violenza di genere online e Telegram è certamente uno degli strumenti più utilizzati per commettere questo reato. Può essere il mezzo giusto per contrastare la violenza di genere online o c’è il rischio che Durov possa pagare per gli altri?
Con la violenza di genere online entriamo nel tema più caldo, cioè che le piattaforme non sono neutrali. Nascono sempre da un sistema, un’ideologia politica, una visione del mondo per cui ci sono alcune dimensioni in cui viene accettato di collaborare con le autorità, come il terrorismo, e ci sono dei fenomeni per cui non interessa assolutamente lavorare insieme per cerare almeno di limitare le azioni violnte che, molto spesso vengono suggerite dalla piattaforma stessa. La violenza di genere online è una di queste dimensioni.

Durov e Telegram non si sono mai preoccupati di scardinare questo fenomeno e non hanno mai voluto inserire dei moderatori di contenuti. Io credo che l’arresto in sé non determinerà nulla in merito al contrasto della violenza di genere online, quello che può determinare è il passaggio nella regolamentazione di una piattaforma come Telegram che in questo momento non è obbligata ad adeguarsi a nessuna norma in vigore. Ad oggi non è stata inserita nell’elenco delle Vlop del Dsa – very large online platforms – perché dichiara sempre meno di 850 milioni di utenti. Questo passaggio, al di là di perseguire Durov, spero che getti luce sui problemi sociali che poi si creano attraverso una piattaforma come questa.

La cosa grave è che non si sia mai cercata una soluzione o una collaborazione con l’autorità, le associazioni che supportano le vittime e le vittime stesse, e che al giorno d’oggi, nonostante i numerosissimi scandali scoppiati intorno a Telegram la situazione sia sempre la stessa o si va addirittura a peggiorare con le nuove funzioni, come i bot che creano gratuitamente i deep fake porn. Questo può solo essere un primo passo per un cambiamento che dev’essere politico e socioculturale rispetto alla violenza di genere, oltre ad essere segnale verso lo strapotere di chi detiene queste piattaforme che, fino ad oggi, viveva nell’impunità.

C’è chi in questo momento sta paragonando Pavel Durov a Julian Assange. Possiamo davvero paragonare i due casi? Assolutamente no, Durov non è il nuovo Assange. Non stiamo parlando di censura in questo caso, non stiamo parlando di perseguire un cittadino per aver diffuso dei contenuti politici sensibili di interesse pubblico, ma parliamo di perseguire un imprenditore che si è arricchito sulle spalle di tantissime vittime e grazie a fenomeni profondamente illegali e violenti. In questo caso, parliamo di un CEO che, come in diversi casi, quando l’azienda sbaglia è responsabile di quell’errore.

Si parla di moderazione dei contenuti, di limitare e regolamentare il linguaggio online che deve rispettare altri diritti, come la non discriminazione o il diritto alla non violenza. Free speech non vuol dire che non ci sono dei limiti e delle regole, questa è la bandiera dell’estrema destra e non è un caso che l’hashtag sia stato twittato primo tra tutti da Elon Musk che, forse, sa che potrebbero arrivargli multe dall’Europa, che sta cercando di regolamentare, anche se lentamente, lo spazio online tenendo in considerazione i diritti umani tutti, che in questo momento non sono rispettate.

Le attiviste e gli attivisti che si occupano del tema chiedono a gran voce da anni che si prendano delle misure in tal senso. Purtroppo il mondo della destra è molto vicino a una parte del mondo della crittografia che vuole un Internet intoccabile, ma abbiamo visto a cosa ha portato non avere nessuna regola online. La mia posizione è quella in cui si prevede una regolamentazione e mi auguro che, da adesso in poi, Telegram cominci a partecipare, quanto meno, alle conversazioni con le istituzioni internazionali rispetto alla moderazione dei contenuti.

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