Sui combustibili fossili “la Cop28 è il momento della verità” per l’Iea, ma l’Opec non è d’accordo

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I produttori di combustibili fossili rigettano le accuse dell’Agenzia internazionale dell’energia: “Non puntare il dito”. Ma intanto investono solo l’1% in energie pulite.

Che i combustibili fossili siano la principale causa di inquinamento e di produzione di emissioni climalteranti, ormai è una tesi sostenuta dall’intera comunità scientifica. All’interno di questa, particolare rilevanza ha avuto il rapporto Oil and gas industry in net zero transitions dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), la quale ha invitato i produttori di gas e petrolio a cambiare approccio: “I produttori di petrolio e gas si trovano di fronte a scelte cruciali sul loro ruolo nel sistema energetico globale, in un contesto di peggioramento della crisi climatica alimentata in gran parte dai loro prodotti principali. Il settore deve adottare un approccio più responsabile e contribuire positivamente alla nuova economia energetica”, c’è scritto nel rapporto.

La risposta dell’Opec, il principale cartello del petrolio dei paesi nel Medio Oriente, non si è fatta attendere, ma sembra provenire da un altro pianeta. “L’Opec non è un’organizzazione che prescrive agli altri cosa dovrebbero fare. Puntare il dito non è un approccio costruttivo. È importante collaborare e agire con determinazione per garantire la riduzione delle emissioni e l’accesso delle persone ai prodotti e ai servizi energetici di cui hanno bisogno per vivere una vita confortevole”, è stata la replica del segretario generale dell’Opec, Haitham Al Ghais.

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Il presidente dell’Agenzia internazionale per l’energia, Fatih Birol © Brook Mitchell/The Sydney Morning Herald

Iea critica i produttori di petrolio in vista della Cop28

La Cop28 di Dubai dovrà rappresentare, secondo Iea, il “momento della verità” per chi continua a produrre combustibili fossili. Infatti, dice l’agenzia europea, “mentre il mondo subisce gli impatti di una crisi climatica sempre più grave, continuare a fare affari come al solito non è responsabile né dal punto di vista sociale né da quello ambientale”.

Attualmente, le compagnie petrolifere e del gas rappresentano solo l’1 per cento degli investimenti in energia pulita a livello globale. Mentre le stesse compagnie investono ogni anno circa 800 miliardi di dollari nelle fonti fossili, che è più del doppio di quanto previsto da un percorso per limitare l’aumento delle temperature di 1,5 gradi.

“Allo stato attuale, le aziende con obiettivi di riduzione delle proprie emissioni rappresentano meno della metà della produzione globale di petrolio e gas”, continua lea, mentre “la produzione, il trasporto e la lavorazione di petrolio e gas producono quasi il 15 per cento delle emissioni globali di gas serra legate all’energia, pari a tutte le emissioni di gas serra legate all’energia degli Stati Uniti. Per allinearsi a uno scenario di 1,5 gradi, le emissioni del settore devono diminuire del 60 per cento entro il 2030”.

La replica dell’Opec: “industria delle fossili diffamata come responsabile della crisi climatica”

La prima reazione dell’Opec “Il modo in cui Iea ha usato le sue piattaforme social negli ultimi giorni per criticare e istruire l’industria del petrolio e del gas è a dir poco diplomatico. Inoltre, è ironico che l’Iea, un’agenzia che negli ultimi anni ha ripetutamente cambiato le proprie narrazioni e previsioni, si rivolga ora all’industria del petrolio e del gas dicendo che questo è il momento della verità”, ha risposto Haitham Al Ghais, che critica a sua volta l’agenzia di aver adottato “uno sguardo estremamente ristretto verso le sfide che abbiamo di fronte”.

L’Opec ritiene che le proposte dell’Iea siano piuttosto uno strumento volto a limitare le azioni e le scelte sovrane dei paesi in via di sviluppo produttori di petrolio e gas. Per il cartello di produttori, guarda caso, l’accento va posto sulla riduzione delle emissioni, non sulla scelta delle fonti energetiche utilizzate. “Iea – prosegue Al Ghais – minimizza questioni come la sicurezza energetica, l’accesso all’energia e l’accessibilità economica. Inoltre, diffama ingiustamente l’industria come responsabile della crisi climatica”. La ricetta, quindi, dei produttori di petrolio sta nella cattura e lo stoccaggio di CO2: “Il nostro settore sta abbracciando le energie rinnovabili, con importanti investimenti, e sta investendo in tecnologie per ridurre le emissioni, come la cattura diretta di CO2 dall’aria, la rimozione dell’anidride carbonica e l’idrogeno pulito. Alcuni Paesi membri dell’Opec sono leader mondiali in questo ambito”.

Sulla Ccs, ovvero la cattura e lo stoccaggio di CO2, Al Ghais critica l’approccio di Iea, che lo ritiene illusorio. Ma i dati dell’Agenzia parlano chiaro: “La cattura di CO2 non può essere utilizzata per mantenere lo status quo. Limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi richiederebbe la cattura e lo stoccaggio di 32 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050, una quantità del tutto inconcepibile, di cui 23 miliardi di tonnellate tramite la cattura diretta nell’aria. La quantità di elettricità necessaria per alimentare queste tecnologie sarebbe superiore all’intera domanda mondiale di elettricità di oggi”.

Insomma, il messaggio dell’agenzia guidata da Fatih Birol non può essere più chiaro di così: “Il progresso dell’energia pulita continuerà con o senza i produttori di petrolio e gas. Tuttavia, il viaggio verso le emissioni nette zero sarà più costoso e difficile da percorrere se il settore non salirà a bordo”.

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