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Otto mila chilometri di lunghezza e quindici chilometri di larghezza. Sono queste le impressionanti misure della Grande Muraglia Verde, una cintura arborea che l’Unione Africana sta realizzando al fine di contrastare l’avanzata del deserto. L’ambizioso progetto punta ad attraversare in orizzontale il continente africano. Dal Senegal al Gibuti, la linea alberata passerà per 11 nazioni col nobile scopo di contrastare la degradazione ambientale e la povertà della regione. I costi sono stati stimati in circa 33 miliardi di dollari di cui 14 già investiti. A oltre dieci anni dal lancio ufficiale del progetto, è stato ultimato circa il 20% del percorso. Secondo diverse fonti, l’iniziativa sta però già cambiando le cose in meglio. Perché, a dirla tutta, la Grande Muraglia Verde non è solo un’opera finalizzata a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Più che una linea, si tratta infatti di un “mosaico di risanamento” che protegge l’agricoltura, offre posti di lavoro, favorisce la coesione sociale e limita le migrazioni climatiche.
Il progetto è stato ufficialmente presentato nel 2007 dall’Unione Africana, l’organizzazione internazionale e area di libero scambio comprendente tutti gli Stati del continente africano. Nel 2013, anno in cui l’iniziativa ha trovato un rinnovato supporto da parte delle più importanti organizzazioni intergovernative al mondo, sono stati integrati ulteriori obiettivi di natura ecologica e sociale, quali il ripristino di 100 milioni di ettari di terreno, la creazione di 10 milioni di posti di lavoro nelle aree rurali, nonché una serie parallela di progetti di agricoltura rigenerativa guidati dalle comunità locali. Allo stato attuale, sono state messe a dimora più di 100 milioni di piante legnose e ben 18 milioni di ettari di terreno sono stati rivitalizzati. Poiché il problema a monte è la carenza (per non dire assenza) di precipitazioni, il progetto ha previsto la piantumazione di specie vegetali native capaci di sopravvivere e proliferare in condizioni estreme. Stiamo parlando ad esempio del Baobab, albero simbolo dell’Africa in grado di crescere in ambienti estremamente aridi e che, tra l’altro, produce frutti edibili e una corteccia utilizzabile per diversi scopi. C’è poi l’Acacia tortilis, altra pianta tipica della regione ben nota al popolo Saharawi che da sempre ne utilizza le foglie a scopo curativo. E ancora, tra i protagonisti della muraglia verde c’è anche il Combretum glutinosum, un arbusto, capace di crescere rigoglioso nel deserto, utilizzato per la realizzazione di tinture, tessuti, telai e utensili. Ma queste sono solo alcune delle specie che verranno messe a dimora. La chiave della resilienza sta infatti nella diversificazione.
Per capire l’importanza della Grande Muraglia Verde, basti pensare che questa nascerà nella regione africana del Sahel, ai margini meridionali del deserto del Sahara, uno dei luoghi più poveri del pianeta. Non a caso, anche una delle aree geografiche in assoluto più colpite dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Sono già milioni le persone che combattono con una siccità persistente e le relative carenze di cibo e guerre per la diminuzione delle risorse naturali. Il drammatico risultato sono delle incessanti e rischiose migrazioni di massa sia interne al continente africano che verso l’Europa. In quanto “soluzione basata sulla natura”, la Grande Muraglia Verde rappresenta quindi un’occasione unica per favorire l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici in una delle zone del pianeta che ne ha più bisogno. Un’opportunità di riscatto per un continente troppo a lungo ritenuto di serie B. Ma affinché diventi una realtà ognuno dovrebbe fare la sua parte. La strada da percorrere è infatti ancora lunga, specie se i fondi a sostegno dell’iniziativa risultano altalenanti. «Non c’è dubbio che i progressi e i risultati ottenuti nell’ultimo decennio potranno essere consolidati e incrementati solo attraverso un forte sostegno continuo», ha spiegato il Fondo mondiale per l’ambiente, organizzazione partner della Grande Muraglia Verde. All’appello si è unito anche Alain-Richard Donwahi, il presidente della 15esima COP sulla desertificazione «Dobbiamo trovare più risorse, più fondi e destinarli ai progetti giusti – ha dichiarato Donwahi – abbiamo anche bisogno che i Paesi coinvolti inseriscano questa iniziativa nei loro piani di sviluppo nazionali e nei loro bilanci annuali, in modo che i fondi siano dedicati a far progredire la Grande Muraglia Verde e a sostenere le comunità».
[di Simone Valeri]