Alluvioni in Toscana, qual è il ruolo del cambiamento climatico? La climatologa Giacomin: «Il caldo di ottobre ha rinforzato le perturbazioni» – L’Intervista

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La climatologa, meteorologa e presidente dell’associazione Italian Climate Network commenta la situazione meteorologica dovuta alla tempesta Ciaràn

«Sono caduti 155 millimetri di pioggia in poche ore, un evento che da quel che sappiamo non accadeva da almeno due secoli». Così il sindaco di Prato Matteo Biffoni ha definito la situazione meteorologica dovuta alla tempesta Ciaràn, che ha colpito buona parte d’Italia e contribuito all’esondazione di numerosi corsi d’acqua. Le conseguenze più gravi si sono viste in Toscana, di un evento descritto come raro, eccezionale, i cui effetti – alluvioni, esondazioni, case e negozi allagati, alberi divelti, infrastrutture compromesse e strade coperte di fango – però, sembrano ripresentarsi ogni primavera e ogni autunno in varie zone del Paese: un anno fa erano le Marche, sei mesi fa era l’Emilia Romagna, per citare solo i più recenti. Mentre ancora si fa la conta dei danni, la segretaria del Pd Elly Schlein accusa la premier Giorgia Meloni di negare l’emergenza climatica, mentre il capo del governo ribatte, dicendo che quella della leader dem non è nulla più di una strumentalizzazione. Per capire come è nata la tempesta Ciaràn, quale è il nesso con il cambiamento climatico e come abbia potuto provocare tanti danni, tra cui la morte di almeno sei persone, Open ha fatto alcune domande alla climatologa meteorologa e presidente dell’associazione Italian Climate Network, Serena Giacomin.

In Toscana sono caduti circa 150 mm di pioggia in poche ore. Il sindaco di Prato ha parlato di un evento che si verifica ogni 200 anni. Ha ragione?

«Certamente non è così usuale osservare una tempesta intensa quanto Ciaràn alle nostre latitudini. Direi che non rientra nella “normalità” climatica del nostro territorio. Si tratta di un fenomeno che è stato estremamente intenso qui in Italia, ma soprattutto sulla costa occidentale del continente europeo dove ha avuto un’intensità da uragano, pur non essendolo nella sua struttura atmosferica. Ciaran è infatti una tempesta extratropicale, con venti fino a 200 km/h. Le piogge poi sono state molto abbondanti. In molte zone abbiamo superato i 100 mm di pioggia in poco tempo. Un evento significativo, soprattutto se si considera che questa non è la prima perturbazione che ha colpito il territorio italiano negli ultimi giorni. C’è stata quella precedente, ad esempio, che ha provocato l’esondazione del Seveso a Milano. Parte del nostro territorio, quindi era già fragile».

E le allerte della protezione civile lo avevano previsto, anche se secondo il sindaco di Prato erano troppo basse. Soprattutto quella arancione per rischio idraulico

«C’è un altro elemento. In molti non conoscono il vero significato delle allerte, che non sono allerte meteo – ovvero unicamente legate alla pericolosità dei fenomeni atmosferici – ma previsioni dell’impatto sul territorio e sulle persone, cioè analisi di rischio. Facciamo un esempio: nei giorni successivi all’alluvione in Emilia Romagna dello scorso maggio, l’allerta è rimasta rossa fino a quando il rischio idraulico e idrogeologico non è almeno in parte rientrato, anche quando splendeva il sole. Dobbiamo ragionare quindi su due livelli: l’osservazione e l’analisi della perturbazione in transito (che determinano la pericolosità) e la valutazione dei suoi effetti su territorio e cittadinanza. I parametri sono così definiti: esposizione e vulnerabilità. L’equazione che definisce l’entità dell’allerta, quindi, è Rischio = Pericolo X Esposizione X Vulnerabilità».

Che ruolo ha avuto il cambiamento climatico nelle alluvioni degli ultimi giorni?

«Riguardo l’influenza del riscaldamento globale sulla potenza della tempesta devono essere fatti gli studi di attribuzione che ancora non sono pronti. Quello che sappiamo è che le perturbazioni vengono rese più violente dal calore nell’atmosfera e nei mari. E in Italia veniamo da un ottobre che ha superato di circa tre gradi le medie climatiche più recenti (1991-2020). Aria e mare più caldi significano più combustibile per le perturbazioni in transito, che quindi acquisiscono maggior intensità. La perturbazione ha incontrato un Mediterraneo caldo, ma non solo, anche l’Atlantico Settentrionale – dove Ciaràn si è formato – ha mostrato delle anomalie importanti. Attraversando l’oceano è arrivato in Europa carico di energia. Per i prossimi mesi osservato speciale sarà El Niño ormai attivo nel Pacifico equatoriale. Si tratta di un evento meteo-climatico che sostanzialmente riscalda oceani e atmosfera e perciò ha la capacità di aggravare l’estremizzazione degli eventi».

Cosa pensa dello scontro tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein? La segretaria dem sostiene che il governo neghi l’emergenza. E Meloni accusa Schlein di strumentalizzazioni dei disastri naturali

«Certamente nel momento in cui ci si ritrova in emergenza tutti lavorano per uscirne. Ma, diciamoci la verità, la prevenzione e l’adattamento non sono mai stati in cima alle priorità del governo: né di questo né di quelli precedenti. Abbiamo bisogno di una cittadinanza consapevole e capace di auto proteggersi grazie ad una accresciuta cultura del rischio, ma qui serve una presa di posizione politica e la messa in campo di azioni di mitigazione e adattamento. Siamo in incredibile ritardo sul Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, ad esempio, ormai del 2015 e orientato proprio alla pianificazione nazionale per ridurre e contenere le vulnerabilità del territorio ma non è ancora stato integrato, non ci sono procedure o la messa in atto di una strategia con fondi dedicati per poterlo attuare. Leggo questa cosa come una disattenzione e scarsa determinazione a rendere il territorio più sicuro e meno fragile. Ed è un problema che ci trasciniamo avanti da anni. Abbiamo conoscenza e dati ma manca la volontà. Elly Schlein dice che Meloni nega l’emergenza climatica, la premier ha parlato varie volte della crisi in cui ci troviamo. Ma senza le azioni rimangono solo le parole. E tra questi vuoti d’azione troviamo nel dibattito ancora troppo spazio a dubbi antiscientifici e negazionisti».

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