Roma vuole “prendersi” le miniere della Sardegna

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C’è chi grida al “golpe” perché a rischio l’autonomia della Sardegna. Altri sperano in un progetto condiviso per il bene del territorio.
  • In Sardegna, c’è chi si oppone a un decreto legge che scavalca l’autonomia della Regione per gestire le miniere di materie prime critiche.
  • La disposizione del governo intende perseguire il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Critical raw materials act.
  • Invece che competere sull’autonomia, sarebbe meglio per la popolazione che Stato e Regione collaborino per un progetto comune.

Il Consiglio dei ministri italiano ha recentemente approvato un decreto legge il cui obiettivo dichiarato è quello di segnare un passo significativo nella ricerca di materie prime critiche, essenziali per la produzione di batterie e altri dispositivi tecnologici. Questo decreto si inserisce nel contesto della crescente competizione globale per elementi come cobalto, rame, litio, magnesio, grafite, nichel, silicio, tungsteno e titanio, definiti fondamentali per il futuro economico e tecnologico dell’Italia e dell’Europa.

Particolare attenzione è rivolta alla Sardegna, una regione ricca di potenziali giacimenti di materie prime critiche. La recente legislazione prevede una mappatura dei siti minerari dismessi e una valutazione delle condizioni di estraibilità delle risorse. Le miniere sarde, storicamente significative, potrebbero rivelarsi cruciali per il recupero di materiali come terre rare, zinco e piombo, ancora presenti in quantità non trascurabili nelle discariche e nei fanghi delle miniere metallifere della Sardegna chiuse negli anni ‘90 (tra le più note miniere Monteponi, Montevecchio, Masua, Malfidano Ingurtosu). Ma il decreto ha suscitato anche forti preoccupazioni.

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L’assessore all’industria della Regione Sardegna, Emanuele Cani © Regione Sardegna

Il decreto sulle materie prime critiche va contro l’autonomia della Sardegna?

Promosso da Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin, rispettivamente ministri del Made in Italy e dell’Ambiente e della sicurezza energeetica, il decreto mira a semplificare le procedure autorizzative per le attività estrattive, riducendo i tempi di rilascio dei permessi a 18 mesi per le attività di estrazione e a dieci mesi per quelle di lavorazione e riciclaggio. Questa misura, dicono i due ministeri, è pensata per facilitare la transizione digitale e verde, nonché per promuovere l’indipendenza europea dalle forniture cinesi di materie prime critiche.

Ma il decreto non è piaciuto a una parte della società civile della Sardegna: la testata giornalistica L’Unione sarda ha addirittura parlato di “golpe” e ”blitz costituzionale”, in quanto andrebbe a minare l’autonomia regionale sulla gestione delle risorse minerarie. Lo statuto sardo, infatti, garantisce alla regione competenze primarie in questo settore, ma il nuovo decreto introduce una clausola che potrebbe sovrapporre le competenze statali a quelle regionali. Questo aspetto del decreto potrebbe portare a una ridefinizione dei poteri tra Stato e Regione, sollevando questioni di legittimità costituzionale, e proprio in un momento storico in cui il governo ha spinto per l’approvazione di una legge sull’autonomia differenziata delle regioni a statuto speciale, in cui rientra anche la Sardegna (la legge è stata approvata dalla Camera il 19 giugno 2024).

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Porto Flavia è un monumento di archeologia industriale. Una struttura mineraria, oggi non più operativa, che si affaccia sulla costa sud occidentale della Sardegna © IglesiasTurismo.it

La posizione della Regione Sardegna

Il decreto italiano si allinea con il Critical raw materials act, un pacchetto di misure approvato dall’Unione europea per ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, in particolare dalla Cina. Il regolamento europeo prevede che entro il 2030 almeno il 10 per cento delle materie prime critiche consumate nell’Ue siano estratte sul suolo europeo e che il 40 per cento dei materiali sia lavorato all’interno del continente.

“Come Regione autonoma della Sardegna valutiamo molto positivamente le ricadute occupazionali ed economiche che possono scaturire dall’applicazione del provvedimento in discussione”, ha spiegato Emanuele Cani, assessore all’industria della Regione Sardegna durante in un’audizione sul Dl Materie prime strategiche alla Camera dei Deputati. “Vanno però fatte alcune considerazioni preliminari, data la storia di sfruttamento del nostro territorio che presenta una densità di insediamenti minerari senza pari in Italia, rimasti come testimonianze di attività che ci hanno lasciato un’eredità fatta di cave e miniere dismesse e di rifiuti non gestiti”. Secondo Cani, il provvedimento presenta una serie di criticità: tra queste, l’utilizzo di un decreto-legge in un contesto “in cui i requisiti di necessità e urgenza non sono affatto motivati”. Inoltre, “le disposizioni”, prosegue l’assessore, “lasciano vari interrogativi critici sulle competenze regionali e sulla partecipazione effettiva delle comunità locali alle decisioni che influenzano direttamente il loro territorio”. Rispetto ai tre differenti procedimenti amministrativi delineati dal provvedimento, ovvero rilascio dei titoli, autorizzazione al riciclaggio e trasformazione delle materie prime critiche, “sarebbe bene prevedere un ruolo procedimentale della Regione interessata; cosi come andrebbero meglio chiarite le modalità di versamento dei canoni alle regioni”.

La soluzione? Più collaborazione tra Stato e Regione

Ma discutere del grado di autonomia rischia di essere più un problema dai connotati politici che di merito, come spiega a LifeGate Franco Manca, geologo e e già dirigente di società minerarie interamente controllate dalla Regione autonoma della Sardegna. ““Il settore minerario, regolato dal regio decreto 1927 n.1443, alla fine degli anni settanta passa sotto il controllo e la gestione della regione autonoma della Sardegna. Ma oggi, a prescindere del decreto legge in discussione, la Regione autonoma della Sardegna, per rilasciare un titolo minerario per la ricerca e la coltivazione di materie prime, deve necessariamente attendere la Valutazione di impatto ambientale la cui gestione è in capo al Ministero dell’Ambiente. Quindi, in questo la Regione non è completamente autonoma”. Per quanto riguarda il riprocessamento delle discariche, dei fanghi e dei rifiuti con nuove tecnologie più performanti rispetto al passato “si potrebbe ottenere di recuperare i metalli e contestualmente bonificare le aree minerarie”, dice Manca, in un’ottica di economia circolare. “Ma oltre alla definizione delle linee guida per la bonifica, non sono state realizzate azioni concrete a risolvere o a minimizzare l’impatto ambientale che penalizza il territorio e impedisce una valorizzazione completa delle alte valenze storiche, geologiche, ambientali e paesaggistiche”.

Piuttosto, la questione su cui ragione è un’altra, secondo il geologo. “Io mi auguro che governo e regioni, senza distinzioni, raccolgano la forte indicazione proveniente dell’Unione europea, perché condividano soluzioni comuni per risolvere un problema di inquinamento decennale”. Un esempio di riutilizzo significativo è rappresentato dai siti destinati ad archeologia mineraria: il più noto è Porto Flavia, a Iglesias, una galleria scavata nella falesia per il trasporto di minerali realizzata nel 1924, oggetto di visite di migliaia di turisti ogni anno. Alle sue spalle ci sono 5 milioni di metri cubi di discariche e bacini di fanghi, oltre a impianti e fabbricati industriali abbandonati. “Per completare la valorizzazione dell’area mineraria e puntare, la Regione Sardegna pubblicò un bando internazionale per la cessione di tutta l’area a imprese del settore turistico, in modo che si garantisse la realizzazione di strutture ricettive e servizi idonei a soddisfare una crescente domanda del settore; ma il vincolo derivante dall’obbligo di sottoporre prioritariamente alla bonifica l’area vanificò l’esito del bando e oggi, a distanza di oltre 15 anni, l’area rimane ancora da bonificare”.

L’auspicio di Franco Manca è che il decreto legge sulle materie prime critiche sia un passo avanti per ripartire con la valorizzazione in modo sostenibile delle attività estrattive e con l’avvio delle attività di bonifica dei vecchi depositi minerari puntando al recupero dei metalli esistenti. “Ma perché questo possa avvenire è necessario che il governo riconosca il ruolo della Regione”, conclude il geologo, condividendo un piano strategico che da una parte rispetti le richieste dell’Unione europea e dall’altra crei le condizioni di sviluppo del territorio della Sardegna. Se si innescasse un conflitto tra Stato a Regione, sarebbe invece l’ennesima opportunità mancata.

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