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La delibera specifica infatti che la specie in sovrannumero sarebbe alla base di limitazioni alla crescita delle più contenute popolazioni di camosci e caprioli, nonché di problemi alla stessa struttura del bosco. I cervi, infatti, brucano le gemme apicali delle piante, come l’abete rosso, che in questo modo crescono basse, senza sviluppare il tronco. Gli ungulati nel mirino avrebbero inoltre danneggiato il fieno causando perdite che arrivano fino al 30%. Per tali ragioni, il piano di abbattimento ha ottenuto anche il via libera dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Non la pensano allo stesso modo le associazioni ambientaliste che, dal canto loro, sottolineano come la decisione della giunta provinciale rientri invece a pieno negli «effetti devastanti dell’emendamento “caccia selvaggia”, approvato dal Parlamento a inizio anno, e che da quel momento consente esplicitamente l’ingresso dei cacciatori nelle aree urbane e nelle zone protette”. Saranno infatti circa un centinaio i cacciatori che potranno entrare all’interno del Parco Nazionale e dare seguito al piano di abbattimento». A detta della Lega Anti Vivisezione, sarebbero però proprio i cacciatori alla base del problema. In tutti i boschi della provincia di Trento – ha denunciato l’associazione animalista in una nota – sono autorizzate migliaia di strutture di foraggiamento per alimentare artificialmente i cervi durante la difficile stagione invernale, aumentandone così il numero di individui per garantire alla caccia una maggiore quantità di vittime nella successiva stagione venatoria. Una pratica fortemente condannata dallo stesso ISPRA, ma autorizzata dalla provincia di autonoma.
Ad ogni modo, il controllo artificiale di popolazioni animali non è cosa nuova. Spesso, in un contesto già di per sé squilibrato a causa dell’invadente presenza umana, è necessario intervenire simulando dinamiche ecologiche che ripristinino le condizioni più naturali possibili. Emblematico il caso dei cinghiali, i quali in certe aree della Penisola, a causa della pressoché totale assenza di predatori naturali, proliferano in modo eccessivo al punto da impedire la naturale rigenerazione della vegetazione e causare danni consistenti al settore agricolo. Dal 2015 al 2021, si stima che i danni provocati dai cinghiali all’agricoltura abbiano sfiorato i 120 milioni di euro. Per dirla in altre parole, l’intervento previsto per il Parco dello Stelvio potrebbe essere effettivamente necessario, ma a far discutere sono le modalità. Affidare il controllo di popolazioni selvatiche a dei privati, seppur formati allo scopo, è infatti la decisione più facile ma allo stesso tempo più contestabile. Anche perché, soprattutto se l’ambito è quello di un Parco Nazionale, le alternative disponibili andrebbero quantomeno prese in considerazione. «Per una reale gestione faunistica dei cervi dello Stelvio, sempre che fosse provata un reale sovrannumero – ha sottolineato l’Ente Nazionale Protezione Animale – andrebbero applicati tutti i principi messi a disposizione dalla scienza e non promuovere campagne di abbattimenti con fine di lucro condotte da privati. Si potrebbe utilizzare, ad esempio, il farmaco contraccettivo Gonacon, già impiegato con successo negli USA sui cervi dalla coda bianca, o ricorrere ai corridoi faunistici per la dispersione degli animali. Si potrebbe inoltre fare affidamento a meccanismi naturali, facendo in modo che i lupi possano finalmente esercitare quella funzione di selezione che la natura gli ha assegnato».
Nella nota, l’Ente animalista non si risparmia poi dal mandare qualche frecciatina al presidente della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, noto per un certo accanimento ascientifico nei confronti della fauna selvatica. Ma in tutto questo è improbabile che ci sia il suo zampino. Sarebbe infatti la prima volta che viene dato il via libera ad un Piano simile in Trentino, che include anche prelievi di individui, mentre ci sono già stati interventi di questo tipo nei settori del parco in Lombardia e Alto Adige. In generale, è dal lontano 1997 che il Parco dello Stelvio ha iniziato a interessarsi al problema delle elevate densità di cervo nel proprio territorio. Gli impatti esercitati dalla popolazione sugli ecosistemi e sulle attività economiche sono quindi noti da tempo e ancora irrisolti. Pertanto, un’efficace conservazione della biodiversità non può prescindere dalla necessità di intervenire.
[di Simone Valeri]