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Dopo più di un anno di trattative, i Paesi membri dell’Unione Europea ed il Parlamento UE hanno raggiunto un accordo sulla legge che mira alla protezione ed al ripristino degli ecosistemi naturali dell’Unione: la Nature Restoration Law. I punti principali prevedono che si dovrà provvedere per ripristinare gli ecosistemi naturali su almeno il 20% delle aree dell’Unione entro il 2030 e ristabilire almeno il 90% degli habitat in condizioni degradate entro il 2050, piantare tre miliardi di alberi entro la fine del decennio e liberare 25mila chilometri di fiumi. Il tutto a patto di valutare nel 2033 l’impatto sul settore agricolo e di concedere la possibilità di sospendere fino ad un anno la Legge in caso di “eventi eccezionali ed imprevedibili” che potrebbero minare la sicurezza alimentare dell’Unione. L’accordo ha però sollevato sia le critiche di alcuni agricoltori, che hanno espresso forte preoccupazione per l’incidenza sulla produttività, che di alcune associazioni ambientaliste, secondo cui l’accordo si tratterebbe di un compromesso al ribasso. Mancano ora solo i passi finali prima dell’adozione: il testo di compromesso deve essere votato sia dal Consiglio che dal Parlamento europeo ed entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
I punti principali dell’accordo riguardano gli ecosistemi, alcuni indicatori di controllo, i finanziamenti ed il freno d’emergenza. I Paesi dovranno attuare misure che mirino a conferire un trend positivo in due dei seguenti tre indicatori: l’indice delle farfalle nelle praterie, la quota di terreni agricoli con caratteristiche paesaggistiche ad elevata diversità e lo stock di carbonio organico nei suoli minerali coltivati. Dovranno anche essere ripristinati i suoli organici ad uso agricolo su almeno il 30% sul totale dell’area delle torbiere drenate entro il 2030, su almeno il 40% entro il 2040 e su almeno il 50% entro il 2050. I Paesi dell’Unione si impegneranno inoltre ad invertire il declino delle popolazioni di impollinatori entro il 2030 ed a raggiungere una tendenza all’aumento ogni sei anni. A sostegno degli ecosistemi forestali, saranno piantati altri tre miliardi di alberi e almeno 25.000 km di fiumi dovranno essere ripristinati in fiumi a corso libero. Entro il 2030, bisognerà garantire che non vi sia alcuna perdita netta di spazi verdi urbani e di copertura arborea rispetto al 2021 e, dal 2030 in poi, si dovrà lavorare per aumentare questa percentuale. Infine, è stato concordato un “freno di emergenza” applicabile in caso di necessità agli obiettivi degli ecosistemi agricoli e la Commissione dovrà valutare e risolvere eventuali gap finanziari tra fondi disponibili e necessari al ripristino entro 12 mesi dall’entrata in vigore del regolamento.
Nonostante l’accordo sia nato per accontentare sia i politici favorevoli che quelli contrari alla proposta iniziale, le nuove modifiche non sembrano aver raccolto un consenso significativo né dalle associazioni di categoria agricole, né dalle associazioni ambientaliste. La Confederazione Italiana Agricoltori (Cia-Agricoltori Italiani) ha commentato la notizia in un comunicato stampa scrivendo che metterebbe “a rischio l’approvvigionamento alimentare”. Nella nota si legge: «Forte preoccupazione da parte di Cia-Agricoltori Italiani per l’accordo politico raggiunto a Bruxelles sulla legge sul ripristino della natura. A preoccupare il settore primario è, soprattutto, la reintroduzione dell’articolo 9 in merito agli ecosistemi agricoli – con l’impegno degli Stati membri a mettere in atto le misure di ripristino necessarie per migliorare la biodiversità – che metterebbe a rischio l’approvvigionamento alimentare. L’introduzione di un meccanismo d’emergenza a compensazione del suddetto articolo, che prevede la sospensione degli obiettivi per gli ecosistemi agricoli in circostanze eccezionali, non può essere considerato soddisfacente e non fa che riconoscere implicitamente i gravi rischi di questa normativa, segnalati non solo da Cia, ma da tutte le altre associazioni agricole europee».
D’altra parte, ci sono alcune organizzazioni non governative e ambientaliste, secondo le quali si tratterebbe di un compromesso al ribasso. Tatiana Nuño – funzionario senior della politica marittima dell’associazione ambientalista Seas at Risk – ha dichiarato che «il risultato finale è ben lontano da ciò che sarebbe stato necessario per fronteggiare la crisi della biodiversità». Altri dubbi sono stati sollevati da Ariel Brunner, direttore dell’organizzazione ambientalista BirdLife Europe: «Una questione molto preoccupante è l’aggunta del “freno di emergenza”, che consentirebbe alla Commissione di sospendere per un anno l’attuazione nel caso di crisi legate alla sicurezza alimentare. Ciò non ha assolutamente senso, perché la minaccia alla sicurezza alimentare deriva dal clima e dal collasso dell’ecosistema. Più ci preoccupa la sicurezza alimentare, più urgente diventa il ripristino della natura».
[di Roberto Demaio]