La paradossale vicenda di Gianluca Grimalda: scienziato ambientale licenziato per troppa coerenza

Lindipendente

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Gianluca Grimalda è un ricercatore italiano che lavorava da dieci anni per l’Istituto di Kiel per l’economia mondiale (IfW), ma nella giornata di ieri gli è stato notificato il licenziamento. Il motivo? Aver agito coerentemente con il risultato delle ricerche che collegano i viaggi aerei alle emissioni di CO2 e quindi al riscaldamento globale. Per ritornare dalla Papua Nuova Guinea – dove si trovava per studiare l’impatto del cambiamento climatico sulla popolazione locale – Grimalda si è rifiutato di prendere l’aereo, scegliendo di tornare allo stesso modo con il quale era partito: percorrendo 22mila km a bordo di navi, traghetti, treni e pullman, una scelta grazie alla quale avrebbe risparmiato tre tonnellate di emissioni di carbonio. Ma l’Istituto tedesco gli ha intimato di tornare in aereo, richiesta alla quale Grimalda ha ribadito il rifiuto insieme alla disponibilità a rinunciare allo stipendio per il periodo di viaggio, pur continuando a lavorare da remoto negli spostamenti. Tutto inutile: l’IfW gli ha notificato il licenziamento.

Grimalda era venuto a conoscenza della possibilità di essere licenziato mentre si trovava sull’isola di Bougainville, in Papua Nuova Guinea – una delle zone più vulnerabili agli impatti del riscaldamento climatico. L’esperto era lì da circa sei mesi, per portare a termine un lavoro di ricerca sociale sull’impatto della globalizzazione e del cambiamento climatico sulla popolazione locale – lo studio ha coinvolto un campione di più di 1800 partecipanti, provenienti da 30 villaggi diversi. Il 29 settembre Kiel ha chiesto a Grimalda di tornare in Germania in tempi rapidi, prendendo un aereo: nel giro dei tre giorni successivi l’uomo si sarebbe dovuto far trovare dietro la sua solita scrivania – anche se tutte le sue attività potevano continuare ad essere svolte da remoto -, pena il licenziamento.

Un ordine che il ricercatore ha rifiutato in tronco, per diversi motivi. Primo: la motivazione portatagli dall’azienda, secondo cui il suo lavoro doveva concludersi alcune settimane prima. L’accordo originale prevedeva infatti che l’esperto lasciasse l’Isola il 10 settembre – e che gli studi finissero a luglio. Scadenze che Grimalda non ha potuto rispettare perché costretto ad affrontare una serie di vicissitudini inevitabili, come il rapimento da parte di un gruppo di banditi armati di machete, la perdita degli oggetti di lavoro e le difficoltà a instaurare un rapporto di fiducia con le comunità. (Tra l’altro, come raccontato in un’intervista, per ‘rimediare’ al ritardo l’esperto si è offerto «di andare in congedo non retribuito per la durata del viaggio o comunque per il tempo che l’azienda ritiene più opportuno. Ma hanno rifiutato anche questa mia offerta»). Secondo, non per importanza, l’obbligo di volare.

L’intento di Grimalda era (ed è) invece è quello di tornare in Europa nello stesso modo in cui è partito, compiendo cioè la stessa tratta a ritroso. Un viaggio lungo quasi due mesi, percorrendo circa 22mila km a bordo di navi, traghetti, treni e pullman – una scelta che evita l’aereo e gli permette di risparmiare più di 3 tonnellate di emissioni di carbonio. Il tragitto di viaggio previsto lo aveva pure pubblicato sui social.

 

D’altronde quella di impattare il meno possibile tornando a casa era una promessa che lo stesso Grimalda aveva fatto agli abitanti dell’Isola durante i discorsi tenuti per spiegare loro quanto il mondo industrializzato stia contribuendo ai disastri ambientali che sono capitati e capiteranno sul territorio. «È assurdo che un istituto di ricerca licenzi un ricercatore per aver svolto il suo lavoro in modo troppo diligente e per aver evitato di volare durante un’emergenza climatica», ha commentato Julia Steinberger, esperta di cambiamento climatico e autrice del sesto rapporto di valutazione dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici).

Una situazione ancora più paradossale se si guarda ai dati. Questi dicono che il trasporto aereo globale – compreso quello merci e quello passeggeri – rappresenta l’1,9% di tutte le emissioni di gas serra (non solo la CO2), il 2,5% delle emissioni di CO2 e che contribuisce per il 3,5% al surriscaldamento della Terra. Tant’è che gli aerei emettono circa 100 volte più anidride carbonica all’ora di un viaggio in autobus o treno.

Sebbene si stia dedicando molta ricerca e molti investimenti allo sviluppo di carburanti più sostenibili, che siano adatti per l’aviazione, molti esperti affermano che, pur disponendone di una certa quantità, sarebbe comunque piuttosto difficile averne a sufficienza da far volare tutti gli aerei che ogni giorno decollano dalle migliaia di aeroporti distribuiti in tutto il mondo. Potrebbe essere più producente, invece, potenziare il resto dei mezzi di trasporto, renderli più efficienti e capillarmente distribuiti – così da scoraggiare per esempio chi deve percorrere brevi distanze a prendere l’aereo.

Per ridurre davvero l’impatto inquinante del settore aereo, infatti, serve piuttosto investire su soluzioni diverse, già esistenti e limitare il più possibile voli del tutto vuoti e a corto raggio, spesso superflui o facilmente sostituibili, ma tra i più inquinanti.

[di Gloria Ferrari]

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