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In Italia i registri elettorali, cioè gli elenchi stilati dal ministero dell’Interno in cui sono iscritti le cittadine e i cittadini ammessi all’esercizio del diritto di voto, sono divisi per genere da quando, nel 1945, le donne hanno acquisito il diritto di voto. Questa divisione comporta da decenni anche una divisione netta delle file tra elettori ed elettrici all’interno dei seggi che, in molti casi, sono discriminatorie nei confronti di persone trans, non binarie o intersessuali che si trovano costrette a fare outing e rivelare la propria identità di genere contro la loro volontà.
Per provare a superare parte di queste discriminazioni, nel weekend elettorale dell’8 e 9 giugno che ha chiamato persone al voto per eleggere i nuovi membri del Parlamento europeo, alcuni comuni italiani hanno deciso di dare indicazioni di inclusività al personale dei seggi, chiedendo di non dividere le file di attesa per genere. Le amministrazioni comunali di città come Padova, Milano, Bologna e Udine, infatti, hanno inviato ai e alle presidenti delle sezioni elettorali linee guida in cui invitavano a non suddividere le file tra maschi e femmine, per permettere a tutte le persone di recarsi ai seggi con serenità e “per non ingenerare imbarazzo o difficoltà in quelle persone il cui aspetto non corrisponde al genere anagrafico indicato nei documenti ufficiali, ovvero sono in transizione”, si legge nel documento trasmesso dal Comune di Padova. L’indicazione è stata quindi quella di non incolonnare elettori ed elettrici in attesa di votare nelle tradizionali due file, bensì di provvedere alla formazione di una coda unica.
Una decisione che ha scatenato reazioni differenti. “La reazione a Padova è stata un po’ polarizzata” ha dichiarato a Lifegate Francesca Benciolini, assessora ai servizi demografici del Comune di Padova, “diciamo che i politici di centrodestra hanno contestato questa scelta, mentre il territorio mi ha dato moltissimi feedback positivi, perché è stata vista come un’azione per rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di poter esercitare liberamente il proprio diritto al voto”. Proprio a Padova il consigliere Leghista Ubaldo Lonardi si era detto “profondamente indignato” definendo questa indicazione come “assurda”. Allo stesso modo, anche la consigliera di Fratelli d’Italia Elena Cappellini si era espressa negativamente dichiarando, prima del voto, che si trattava dell’ennesima “decisione grottesca” che non avrebbe fatto altro che “complicare le operazioni di voto” poiché la suddivisione tra maschi e femmine “è infatti soltanto una modalità organizzativa”.
All’origine della scelta ci sono le rivendicazioni di un’intera comunità
“All’origine di questa scelta c’è da una parte l’ascolto del territorio”, ha spiegato ancora Francesca Benciolini, “dall’altra una mozione consiliare votata in consiglio comunale, in cui si chiedeva proprio questa attenzione”. Nel 2023, infatti, era stata presentata una mozione, firmata da tutto il gruppo del Partito democratico all’interno dell’amministrazione comunale, in cui si chiedeva di adottare alcuni provvedimenti volti a favorire l’inclusione e la cittadinanza delle persone transgender e delle persone in attesa di cambiare il nome sui propri documenti. Tra questi era presente anche la richiesta di incolonnare elettori ed elettrici in un’unica fila al di fuori dei seggi.
“Oltre a essere consigliera comunale faccio parte della comunità lgbtqia+ in quanto mamma di una persona transgender”, ha raccontato a LifeGate Elivira Andreella, consigliera comunale del Partito democratico “e ho vissuto questo problema insieme a mio figlio”. Andreella ha poi riferito che “tutte le volte che si doveva andare a votare c’era questo problema delle due file” e, nel momento in cui gli ormoni iniziano a fare effetto, dividersi nelle file assegnate a maschi e femmine, “diventa per le persone transgender un vero e proprio problema”. Questa divisione binaria ha spesso portato, nel tempo, molte persone a desistere dall’andare a votare, rinunciando a un diritto fondamentale, per evitare di essere esposte a una serie di giudizi difficili da affrontare. “Quindi questa richiesta parte proprio da lì e sono anni che, insieme a vari gruppi, facciamo questo ragionamento ed elaboriamo istanze per eliminare le disparità”, ha continuato Andreella.
“Come associazioni e come comunità trans abbiamo attraversato negli anni i seggi elettorali, abbiamo visto quali sono i problemi e abbiamo cercato di segnalarli” ha spiegato a LifeGate Christian Leonardo Cristalli, delegato alle politiche trans in Arcigay nazionale e membro del consiglio direttivo dell’associazione Gruppo Trans. Nel 2018 proprio Gruppo Trans, associazione di persone transgender e non binarie politicamente impegnata a livello nazionale per il riconoscimento dei diritti e lo sviluppo di servizi dedicati al benessere e alla tutela della comunità trans, aveva lanciato una campagna nazionale intitolata “Io sono io voto” con l’obiettivo di ottenere seggi elettorali accessibili, inclusivi e rispettosi per le identità trans. “Inizialmente lanciammo una mobilitazione” ha spiegato Cristalli “e chiedemmo alle persone di andare a votare e di mettere a verbale il proprio dissenso rispetto alla suddivisione di genere” evidenziando come attraverso la campagna abbiano successivamente cercato di riportare in luce questo tema a ogni tipo di elezioni, dalle locali fino alle recenti europee.
Parallelamente l’associazione ha dato vita a una procedura di accompagnamento ai seggi, creando un database che contiene i dati di persone che si sono rese disponibili ad accompagnare ai seggi chiunque si trovasse in difficoltà o avesse bisogno. “Questa non è la soluzione al problema” ha spiegato Cristalli, ma “questa procedura ha comunque aiutato tante persone”. Oggi più che mai, secondo l’attivista, fare in modo che le persone trans e non binarie esercitino il loro diritto al voto è più importante che mai.
C’è un attacco sulle nostre vite e se noi continuiamo questo circolo vizioso non andando a votare, chiaramente non riusciremo neanche minimamente a spostare quello che potremmo.
La legge sulla divisione in base al genere dei registri elettorali e i tentativi di modificarla
In Italia, infatti, la divisione dei registri elettorali sulla base del genere risale al 1 febbraio 1945, quando il governo presieduto da Ivanoe Bonomi emanò un decreto legislativo che estendeva il diritto di voto alle donne che avessero compiuto 21 anni. All’articolo 2 lo stesso decreto sanciva la “la compilazione delle liste elettorali femminili in tutti i Comuni”, precisando che dovevano essere separate da quelle maschili.
La norma fu poi confermata dalla legge n. 1058 del 7 ottobre 1947 che convalidava il diritto di voto per le donne a partire dai 21 anni e la divisione per genere delle liste elettorali. La disposizione indicava inoltre che le liste elettorali dovevano riportare anche vari dati degli elettori, tra cui il nome e cognome dell’iscritto, la paternità, il luogo e la data di nascita, il titolo di studio, la professione e l’indirizzo di domicilio e “per le donne coniugate o vedove, anche il cognome del marito”.
Nel 1966 fu abolito l’obbligo di indicare la paternità, mentre tutti gli altri requisiti furono confermati da un decreto del presidente della Repubblica nel 1967, tra cui l’utilizzo di liste elettorali “distinte per uomini e donne” e l’indicazione del cognome del marito per le donne coniugate o vedove.
Successivamente, nel 2003, furono eliminati altri dati dalle liste elettorali come le informazioni riguardanti il titolo di studio e la professione, ma ancora permaneva la divisione sulla base del genere maschile o femminile e l’obbligo del cognome da coniugate per le donne.
Nell’aprile 2022 la deputata del Partito Democratico Giuditta Pini ha presentato, insieme ad Angela Schirò, sempre del Pd, una proposta di legge volta a superare la distinzione di genere tra le liste elettorali e l’obbligo per le donne di indicare il nome del marito. A maggio dello stesso anno la proposta era stata assegnata alla Commissione Affari costituzionali, ma l’iter si era poi bloccato, anche a causa dello scioglimento anticipato delle camere.
Il 9 aprile scorso la Cassazione, dopo aver respinto il ricorso di alcuni attivisti dell’associazione Gruppo Trans di Bologna che chiedevano al proprio comune di residenza di poter votare al di fuori della suddivisione uomo-donna dei registri elettorali, ha stabilito che la divisione dei registri non lede il diritto di voto di chi non si riconosce nel genere assegnato alla nascita.
Secondo quanto riportato dall’associazione, la Corte “ha evidenziato che la procedura di divisione per genere delle liste elettorali è propedeutica e di carattere amministrativo e non inciderebbe sull’esercizio di voto”. Nonostante il diniego, però, la Corte ha anche riconosciuto, sempre secondo quanto riferito dal Gruppo Trans, che le operazioni di voto, che avvengono in un secondo momento, potrebbero essere organizzate in maniera diversa, senza suddividere le persone in base al genere scritto nei documenti. “Quindi sostanzialmente da qui abbiamo visto che dopo questa comunicazione” ha spiegato Christian Leonardo Cristalli, “alcuni comuni autonomamente hanno chiesto di togliere le doppie file, anche se non ci hanno coinvolti direttamente in quanto comunità interessata”.
Oltre i seggi, una battaglia che non è ancora finita
“Io quest’anno sono andato a votare in un momento in cui non c’era coda al seggio”, ha raccontato a LifeGate Selva Pizzolitto, persona transmasc non binaria, “è stata comunque un’esperienza positiva perché non c’erano i cartelli che dividevano elettori ed elettrici e non hanno detto il mio nome ad alta voce, ma credo che questo sia solo un punto di partenza”. Secondo Pizzolitto, infatti, queste misure non bastano per rendere le operazioni di voto inclusive nei confronti di persone trans e non binarie, ma ci vorrebbe prima di tutto una formazione per il personale dei seggi su come evitare discriminazioni.
Le file separate servono poco se poi il personale non è formato. Ad esempio sarebbe necessario che le persone ai seggi non si rivolgessero a chi vota con appellativi come signore o signora, o ancora che usassero il cognome e non dicessero ad alta voce i nomi.
Questi elementi, infatti, potrebbero essere discriminatori per persone che non si riconoscono nel genere assegnato alla nascita, o persone in transizione che non hanno ancora avuto la possibilità di rettificare i propri documenti e il cui nome anagrafico potrebbe non corrispondere alla sua identità di genere.
Punti di partenza, dunque, importanti ma non ancora sufficienti. Secondo Elvira Andreella, la soluzione è solo una: l’eliminazione della divisione di genere come criterio per la ripartizione dei registri elettorali. “Se la costituzione delle liste fosse per ordine alfabetico e non per genere e quindi esistessero registri che riportano i cognomi dalla A alla M e dalla N alla Z, tutto questo problema non esisterebbe”, ha concluso Andreella.
“Dopo sei anni dal lancio della campagna “Io sono Io voto” finalmente abbiamo un punto di partenza” ha dichiarato Christian Leonardo Cristalli, aggiungendo che per eliminare le discriminazioni e permettere alle persone trans e non binarie di esercitare il proprio diritto al voto, l’unica soluzione è quella del superamento della divisione per genere delle liste elettorali, oltre alla collaborazione delle amministrazioni locali con le comunità coinvolte, in modo che suggerimenti, politiche e decisioni siano prese in modo più inclusivo e il personale sia formato adeguatamente.