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La stagione venatoria ha avuto ufficialmente inizio il 17 settembre, ma è dal 15 febbraio scorso che è entrato in vigore il regolamento UE vincolante che vieta l’uso delle munizioni al piombo nelle zone umide dell’Unione. La decisione di vietare tali munizioni nei pressi di fiumi, laghi, laghetti e torbiere è legata perlopiù alla tutela della salute pubblica. Il piombo, che è uno dei metalli pesanti in assoluto più tossici, entra infatti facilmente nella catena alimentare e finisce sulle nostre tavole. In Italia si stima che, a causa della caccia, vengano rilasciati nei boschi e nei corsi d’acqua, circa 240 tonnellate di piombo l’anno. “L’esposizione ad esso – come ha scritto il Parlamento Europeo – è associata a effetti sullo sviluppo neurologico, compromissione della funzione renale e della fertilità, ipertensione, esiti avversi della gravidanza e decesso”. Ciononostante, il governo italiano le sta provando tutte per aggirare la norma. Ad esempio, i ministeri di Ambiente e Agricoltura hanno diffuso una circolare finalizzata a sconfessare le disposizioni europee, sebbene la loro priorità dovrebbe essere quella di tutelare gli ecosistemi naturali e la produzione agricola. Di conseguenza, le associazioni ambientaliste hanno ricorso al TAR, i cui giudici l’hanno, per ovvie ragioni, sonoramente bocciata. Nel frattempo, come anticipato, la Commissione europea ha inviato al governo una lettera di costituzione in mora per ricordare al nostro Paese che non sta rispettando le norme comunitarie. Il richiamo dell’UE, propedeutico ad una procedura d’infrazione vera e propria, tra l’altro specifica che le doppiette dei cacciatori italiani stanno abbattendo uccelli in stato di declino anche nei periodi di nidificazione.
Ma nulla, sotto più di una pressione da parte delle associazioni venatorie, Fratelli d’Italia e Lega hanno comunque presentato la serie di emendamenti, nel decreto legge 104 del 10 agosto 2023, finalizzati ad aggirare la direttiva UE. Ancor più grave poi è il tentativo di indebolire sia il potere dei giudici amministrativi che dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). In particolare, così, verrebbe meno la possibilità di correggere i calendari venatori proposti annualmente da ciascuna regione. Fino ad oggi, quando questi sono apparsi in contrasto con le norme a tutela della fauna selvatica, le associazioni ambientaliste hanno fatto ricorso ai Tribunali amministrativi affinché venissero sospesi in via cautelativa. «L’emendamento proposto – ha spiegato il legale e responsabile tutela giuridica della natura del WWF – prevede invece che il decreto monocratico cautelare non possa più essere adottato prima che si celebri l’udienza in contraddittorio tra le parti. In tal modo, l’attività venatoria andrà avanti con i relativi effetti dannosi. Infine la parte inerente all’ISPRA – il cui parere scientifico, seppur non vincolante, deve essere sempre richiesto prima dell’adozione di ogni calendario – è scomparsa del tutto».
[di Simone Valeri]