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ROMA – “Le restrizioni imposte dall’articolo 5 del decreto legge Agricoltura (numero 63/2024) rallenteranno significativamente il tasso di crescita del fotovoltaico in Italia, impedendo l’utilizzo dei terreni agricoli – anche di quelli non utilizzabili, dismessi o abbandonati – per l’installazione di impianti fotovoltaici”. Gli avvocati Stefano Lucarini e Teresa Di Mario, dello studio Tonucci & Partners, esperti di energia, lanciano l’allarme sostenendo che il provvedimento varato dal Parlamento il 15 maggio scorso “è in contrasto con gli articoli 41 e 117 della Costituzione italiana e con la normativa europea”. Se dovesse essere applicata, questa norma “ridurrebbe la capacità di generare energia rinnovabile, compromettendo il raggiungimento degli obiettivi nazionali ed europei- sostengono i legali- Ed allora, il dado è chiaramente tratto: occorrerà, purtroppo, affollare nuovamente le aule dei Tribunali per rendere manifesta l’illogicità di questo divieto”.
In particolare l’articolo 41 della Costituzione “garantisce infatti- ricordano Lucarini e Di Mario- la libertà di iniziativa economica privata, drammaticamente limitata dalla norma in discorso, che impone vincoli sproporzionati ed irragionevoli alla libertà di iniziativa economica nel settore delle energie rinnovabili, nonché come una limitazione e restrizione, addirittura rispetto alla libera disponibilità del diritto di proprietà”. Ugualmente, la norma del Dl Agricoltura “sembra porsi in contrasto anche con il disposto dell’articolo 117 della Costituzione che definisce le competenze legislative tra Stato e Regioni- fanno notare i due avvocati- Le limitazioni imposte dall’articolo 5 finiranno per interferire con le competenze regionali in materia di pianificazione territoriale e sviluppo rurale, configurando una potenziale violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni”.
I legali dello studio Tonucci & Partners sottolineano che “la Corte Costituzionale è già intervenuta più volte a ribadire che le limitazioni all’installazione di impianti di energia rinnovabile devono essere giustificate da motivazioni ambientali e paesaggistiche concrete ed adeguate, non astratte e generalizzate, e, in ogni caso, tali limitazioni devono rispettare il principio di proporzionalità e ragionevolezza”. Inoltre “non si può ignorare il chiaro contrasto del divieto introdotto dal Dl Agricoltura con quanto prescritto dalla Direttiva Red II, dalla successiva Direttiva Red III e dal piano RePowerEu che mirano a rendere l’Unione indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, stabilendo obiettivi vincolanti per gli Stati membri- spiegano gli avvocati. In tal senso, l’articolo 5 del decreto Agricoltura si pone in contrasto, tra l’altro, con il principio di proporzionalità, come previsto dall’articolo 15 della Direttiva Red II”. Tale principio impone agli Stati membri di far sì che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione “siano proporzionate e necessarie e contribuiscano all’attuazione del principio che dà priorità all’efficienza energetica”.
“La Corte di Giustizia dell’Unione europea (Cgue) ha più volte ribadito l’importanza del principio di proporzionalità nelle politiche energetiche degli Stati membri- precisano Lucarini e Di Mario- affermando che le misure nazionali che ostacolano l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile devono essere giustificate da ragioni imperative, concrete, di interesse generale e devono essere proporzionate rispetto agli obiettivi perseguiti”. “È dunque indubbio che l’articolo 5 del decreto numero 63 del 2024 presenti evidenti profili di illegittimità costituzionale e di contrasto con la normativa europea- concludono gli avvocati- criticità che, evidentemente, non sono state ben evidenti al legislatore in sede di conversione e che, conseguentemente, dovranno essere fatte valere dagli operatori, chiamati a difendere, nuovamente, ciò che dovrebbe essere ovvio”.