La campagna per delegittimare la giudice Apostolico e le domande a cui Salvini deve rispondere

ValigiaBlu

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Caso Apostolico: il governo non ha ancora saputo rispondere su chi abbia ripreso la giudice

Aggiornamento del 13 ottobre 2023: Negli scorsi giorni il ministro degli Interni Matteo Piantedosi e il sottosegretario Nicola Molteni hanno risposto in Commissione Affari Costituzionali alle domande sul caso Apostolico. Come riportato da varie testate, in entrambe le circostanze non sono stati sciolti i dubbi sulla provenienza del video diffuso la scorsa settimana, in particolare da Matteo Salvini e dalla Lega, e girato nel 2018 durante una manifestazione per chiedere lo sbarco dei migranti bloccati sulla nave Diciotti.

Come riporta Repubblica, Piantedosi ha confermato quanto detto dalla Questura di Catania: "in nessuno degli atti redatti, all'epoca, dal personale impiegato nei servizi di ordine pubblico e a seguito dei fatti verificatisi nel corso della manifestazione, è menzionata la dottoressa Apostolico”. Piantedosi ha inoltre specificato che la polizia non impiega software di riconoscimento facciale per le immagini raccolte, né le sottopone in generale a “elaborazioni informatiche a fini identificativi”. 

Nel question time di mercoledì, Molteni ha confermato quanto emerso in precedenza circa il carabiniere che avrebbe informato i superiori di essere il responsabile del video. Il carabiniere avrebbe poi ritrattato. Tuttavia secondo quanto rivelato dal quotidiano Domani, il carabiniere in questione, dopo essersi rivolto a un avvocato e al sindacato italiano militari carabinieri, ha escluso di aver comunicato la paternità del video ai propri superiori. Così scrivono Giovanni Tizian e Nello Trocchia:

I fatti sono questi: G.B. si sarebbe vantato con alcuni suoi colleghi di essere l’autore del video e di averlo inviato su alcune chat, i custodi di questa confidenza hanno, però, deciso di segnalarlo al comando provinciale dei carabinieri di Catania, i quali hanno inviato una nota in procura. In pratica G.B. è stato segnalato dai altri carabinieri, tra questi anche un superiore, che hanno considerato quella confessione poco goliardica e molto compromettente. Così per tutelarsi hanno attivato i più alti in grado. Solo in seguito alla segnalazione, e senza sentire la versione di G.B, il comando ha scritto tutto in una relazione ora sul tavolo dei PM.

Giovedì, infine, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha smentito di aver disposto un’ispezione a Catania. Intanto, la giudice Apostolico ha disposto il rilascio di altri quattro migranti, così come il giudice Filippo Palumbo del tribunale di Potenza, che non ha convalidato il trattenimento disposto dal questore di Forlì.

Sul cosiddetto Decreto “Cutro”, provvedimento convertito in legge lo scorso settembre, oltre al tribunale di Catania, con la decisione della giudice Iolanda Apostolico di cui si sta discutendo, si sono pronunciati quello di Firenze e quello di Bologna. Sempre il tribunale di Catania, per mano di un altro giudice, ha rigettato i trattenimenti disposti dal questore di Ragusa.

Tra i vari punti del decreto, che la cauzione di 5.000 euro imposta a richiedenti asilo fosse un obbrobrio giuridico lo avevano ampiamente detto tutte le persone serie che da anni si occupano di immigrazione. Non a caso si sono scomodati giudizi duri e netti: il segretario di +Europa Riccardo Magi, per esempio, ha parlato di “scafismo di Stato”. Che Meloni sia rimasta “basita” dalla decisione di Catania, perciò, è credibile solo come citazione della serie Boris

Negli ultimi anni, sulla detenzione amministrativa e in generale sulle condizioni cui sono sottoposti migranti e richiedenti asilo nei Centri di Permanenza per i Rimpatri ci sono stati vari pronunciamenti della Corte di Cassazione: l’ ultimo è relativo al CIE di Bari Palese. Nel gennaio 2021 il tribunale di Roma, invece, ha stabilito che i respingimenti (“la procedura di riammissione”) effettuati dall’Italia allo Slovenia hanno violato la Convezione di Ginevra e la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo

Ai pronunciamenti dei tribunali italiani vanno aggiunte le condanne proprio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nel lontano 2012 ci ha condannato per i respingimenti in mare. Lo scorso agosto l’Italia è stata condannata a risarcire una minore straniera non accompagnata per le condizioni di accoglienza. Questo tipo di sentenze, di solito, puniscono l’Italia per le condizioni degradanti cui sono sottoposti migranti e richiedenti asilo. È l’intero sistema di accoglienza e la logica securitaria a cozzare contro le conquiste di civiltà sancite da Costituzione, trattati e convenzioni internazionali. 

La prima lezione che dovremmo trarre, da Strasburgo a Catania, è che la civiltà giuridica è molto più avanti della nostra classe politica, la quale cerca invece di riportarci indietro, a prima di fondamentali conquiste. Ma convenzioni e trattati internazionali tutelano tutti, anche quelle persone che negli ultimi anni si sono bevute la propaganda sulle “invasioni”, le cazzate sui 35 euro, le micragnose polemiche sui cellulari, le teorie ampiamente sbugiardate sui “pull factor”. 

Abbiamo citato questo elenco, incompleto ma significativo, perché gli attacchi di questi giorni alla giudice Iolanda Apostolico servono prima di tutto a spostare il dibattito da una cornice giuridica imprescindibile, che inchioda l’Italia alla sua crudeltà nel gestire i fenomeni migratori. E se vogliamo trovare una principale differenza tra questa destra e gli altri governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio abbondante, è solo nel fatto che i Minniti il loro abietto lavoro lo sapevano fare, purtroppo. Questi, invece, oltre che abietti son pure scarsi.

Ma siccome ammettere certi errori significherebbe distruggere carriere politiche altrimenti impensabili, la destra radicale si è data alla fiction immersiva in tempo reale. Gli sbarchi chiamati “atto di guerra”, il dito puntato contro la Germania che finanzia le ONG, la giudice comunista e facinorosa fianco a fianco con gli estremisti. Messe in fila sembrano le scemenze raccontate da un tipo alticcio al bancone del bar; vien quasi voglia di offrirgli da bere per ascoltare cosa inventa man mano che diventa sempre più ubriaco. Purtroppo però questo bancone del bar è la realtà politica del paese.

Apostolico, ricordiamo, è accusata in pratica di essere una sorta di estremista che avrebbe emesso una sentenza viziata dal pregiudizio. Matteo Salvini si è intestato questa battaglia, spalleggiato dalla maggioranza di governo. La prova sarebbe un video in cui la giudice era presente a un sit-in di protesta nel 2018. 

Erano i giorni della Diciotti, la nave della guardia costiera cui un assurdo braccio di ferro imposto da Roma ha impedito di sbarcare insieme ai naufraghi che aveva salvato. Erano giorni in cui parti dello Stato (l’allora ministro dell’Interno, lo stesso Salvini), entravano in conflitto con altre parti per mere ragioni di propaganda. Va ricordato che, per il ruolo avuto nel caso Diciotti, Salvini ha schivato grazie al voto del Senato l’accusa di sequestro di persona aggravato, ovviamente dopo essersi a lungo atteggiato a Masaniello dei porti chiusi. La seconda lezione che possiamo trarre, è che l’agenda politica di Matteo Salvini si riassume in una parola: esistere.

Guardando la pura meccanica delle immagini di quel video, la giudice sta semplicemente tra la folla e i manifestanti, non grida e non protesta, e addirittura si avvicina alla polizia per parlare. Ma a sentire i commenti della maggioranza, invece, pare quasi che la giudice fosse col passamontagna calato, mentre impugna una molotov e incita rivoltosi - che poi sarebbero cittadini animati da un livello molto basilare di decenza, ma sappiamo che “cittadini” non è spendibile politicamente, “facinorosi” o “estremisti di sinistra” sì. In un altro video, Apostolico batte le mani mentre alcune persone gridano “siamo tutti antifascisti”. Non stupisce che per la Lega questo sia un problema.

Proprio perché Apostolico era riconoscibile e stava di fronte alla polizia, buon senso dovrebbe suggerire che se ci fosse stato qualcosa di inappropriato di certo si sarebbe avuta qualche azione disciplinare, un’ispezione ministeriale, una dichiarazione dell’allora ministro dell’Interno (cioè di Salvini stesso). La cagnara a mezzo social e stampa serve solo a intimidire, a creare un clima in cui qualunque giudice chiamato a pronunciarsi su un ricorso contro un provvedimento del governo si farà due calcoli sui rischi cui va incontro.  

Perciò, tralasciando servi e compari, solo un giornalismo che ha dimenticato elementari regole del funzionamento dello Stato può prestare il fianco a una simile porcata. Solo un giornalismo che titola di video che “spuntano”, perché i video che “spuntano” sono contenuti a basso costo che fanno traffico facile e su cui non c’è bisogno di porre troppe domande. La mossa dei video segue poi un altro tweet, in cui il ministro addirittura additava un “mi piace” a uno status del 2018 pubblicato dal marito. Anche qui: lo staff di Salvini si è messo a scandagliare cinque anni di post su Facebook della giudice e dei suoi familiari, o qualcuno aveva una cartella sul PC con lo screenshot salvato da allora?

Mentre i giornalisti seri, che per fortuna in Italia ancora esistono, hanno da subito puntato l’attenzione sulle opacità dietro la pubblicazione di quel video. Anche perché chi l’ha girato non era certo un giornalista e stava dietro il cordone delle forze dell’ordine, quindi in un punto non proprio accessibile a chiunque.

Ma la questura di Catania ha dichiarato che il primo video circolato non era nei loro atti. L’ultima versione che sta circolando è di un carabiniere che avrebbe girato il video senza mai allegarlo ad alcun atto. A cinque anni di distanza, dunque, avrebbe condiviso il video in una in una ristretta cerchia di persone, e da lì sarebbe “spuntato” nelle mani di Salvini e del suo staff. 

Un carabiniere a che titolo avrebbe girato il video? A che titolo lo avrebbe conservato per cinque anni, decidendo poi di condividerlo dopo la sentenza di Catania? Nella cerchia di persone c’erano altri carabinieri, o c’erano esponenti politici? Tutto il materiale che Salvini sta usando proviene da una persona sola? Anche se i superiori del carabiniere hanno informato l’autorità giudiziaria di Catania, la faccenda non torna affatto. La procura intanto, ha aperto un fascicolo

Su Twitter, il giornalista Sergio Scandura ha analizzato un secondo video pubblicato da LaPresse. La versione più probabile è che le immagini circolate per creare il caso non siano state girate da un carabiniere che passava da quelle parti, ma dalla telecamera di un agente che indossa il casco.

A questo punto Salvini dovrebbe riferire in Parlamento e spiegare come ha ottenuto quel materiale. Dovrebbe essere questa la priorità di qualunque giornalista che intervisterà Salvini, o membri della maggioranza, o la stessa Questura di Catania. C'è da capire se le autorità conservano materiale da usare non si sa bene in che circostanze, e a che titolo, da far girare attraverso non di da bene che canali. È così che si serve lo Stato?

Se non vengono chiarite queste opacità, c’è molto da preoccuparsi, anche perché alcuni aspetti ricordano in qualche modo il caso Delmastro. Anche lì, infatti, c'erano dei pubblici ufficiali che si scambiavano delle informazioni in modo poco ortodosso, con lo scopo di attaccare e discreditare altri pubblici ufficiali, ossia i parlamentari dell’opposizione. 

C’è alla base di entrambi i casi una gestione privata e personalistica delle proprie prerogative, dei propri poteri e delle proprie funzioni, per scopi che riguardano l’interesse particolare. Ma nel caso Delmastro si trattava di documenti passati in modo “ufficioso”. Qui invece abbiamo video che ufficialmente non esistono, mentre ufficiosamente sono conservati e passati allo staff di ministri. Abbiamo attori non meglio precisati che imbastiscono o agevolano al setaccio campagne di delegittimazione. 

La terza e ultima lezione che possiamo trarre, è che non bisogna illudersi nei distinguo, cercando i segni di una sabbia in cui nascondere la testa. Non culliamoci nell’illusione che Salvini sia più radicale di Meloni, creando un gioco delle parti in cui Meloni è quella più istituzionale e affidabile. Certo, Salvini ha bisogno di smarcarsi per questioni di consenso, e sull’asse della credibilità internazionale Meloni è messa meglio. Ma raccontarsi che alla fine poteva andare peggio perché Meloni non è Salvini, o persino perché non è come Trump, è quantomeno ingenuo. Dalla vittoria di Trump contro Clinton all’insurrezione di Capitol Hill ci sono 5 anni di differenza: nel 2016 c’era chi, a pochi mesi del voto, parlava di Donald “la colomba” contrapposta a Hilary “il falco”. La sabbia, dicevamo.

Fate perciò il calcolo dei provvedimenti presi dal governo Meloni nel suo primo anno scarso di vita, dall’esordio sul cosiddetto “decreto rave”. Immaginate di andare avanti così per altri quattro anni, che questa fiction immersiva a base di complotti e nemici diventi la struttura portante di qualunque dibattito, di qualunque lettura politica. Non vi assale un profondo senso di stanchezza e angoscia? 

Se invece siete tra colori convinti che il governo faccia bene, e che davvero il paese si divida in “patrioti e no”, che ci sia un’invasione in corso da cui bisogna difendersi, fate un altro conto. Andate a pescare il numero di persone morte nel Mediterraneo dal 2013, anno della strage di Lampedusa, a oggi. Prendete quel numero, consapevoli che i numeri ufficiali sono una stima al ribasso. Fate poi il conto in questi dieci anni di come è cambiata la vostra vita. Quanto tempo vi tocca aspettare ora per una visita medica, quando è stata l’ultima volta che avete visto un ottobre caldo come giugno, come va il lavoro, come è messo il conto in banca. Quanto spesso siete arrabbiati perché “ormai non si può più dire nulla” o perché “c’è il pensiero unico”, quanta parte della vostra giornata è consumata da questa rabbia. Ecco, pensate che se negli ultimi 10 anni fossero annegate più persone le cose sarebbero andate meglio per voi? 

Immagine in anteprima via YouTube

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