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- Il Giappone ha dato il via all’espansione di nuove centrali a carbone. A Kobe, un comitato di cittadini lotta contro questi progetti da diversi anni.
- Il loro esposto è stato rigettato dal primo grado di giudizio, ma il comitato ha ricorso in appello.
- Il Giappone punta sulla co-combustione dell’ammoniaca come strategia per ripulire le sue centrali a carbone. Una tecnologia molto discutibile.
Kobe è una città di circa 1,5 milioni di abitanti nel Giappone centrale, che si è sviluppata come uno dei principali porti del Paese. La Kobe steel, uno dei maggiori produttori di acciaio giapponese, è stato uno dei principali motori di sviluppo della città. L’azienda non produce solo acciaio ma anche energia attraverso quattro centrali elettriche a carbone, a Kobe attraverso la sua controllata Kobelco, e due centrali elettriche a gas nella prefettura di Tochigi.
Uno sviluppo, come spesso accade, avvenuto a spese della salute dei cittadini. L’espansione della centrale a carbone di Kobe è avvenuta con la costruzione recente – a febbraio 2023, per la precisione – delle unità 3 e 4, situate in un ex altoforno della città, entrambe situate a soli 400 metri di distanza dalle aree residenziali. La società civile e i residenti dell’area circostante hanno costituito un comitato, No coal Kobe, che dal 2017 sta lottando contro l’espansione della centrale. Ma governo e tribunali remano contro.
I residenti di Kobe sfidano Kobelco in tribunale
Molte persone nella città di Kobe soffrono di malattie respiratorie come bronchite cronica, bronchite asmatica ed enfisema. La Kobelco emette enormi quantità di CO2 e di sostanze inquinanti: le quattro unità insieme emettono circa 13 milioni di tonnellate di CO2 all’anno e anche grandi quantità di ossidi di azoto, ossidi di zolfo e particolato fine. Insomma, la Kobelco è la più grande fonte fissa di CO2 e di inquinamento atmosferico della città di Kobe.
Le voci dei residenti che si oppongono alla costruzione di centrali a carbone si fanno sempre più forti, dato che i cambiamenti climatici diventano ogni giorno più gravi. Nel 2017, il comitato No coal Kobe ha presentato una petizione per chiedere la sospensione della costruzione delle nuove unità e l’avvio di discussioni con Kobelco. Nonostante questo, nel 2018 i lavori di espansione della centrale sono iniziati e i cittadini hanno quindi intentato una causa contro Kobelco, Kobelco Power Kobe No. 2 (una sussidiaria per le unità 3 e 4) e Kansai electric power company (la seconda più grande società di servizi del Giappone).
Nella causa, i residenti sostengono che il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico causato dalla massiccia quantità di emissioni di CO2 a lungo termine della centrale violano i loro diritti personali, compreso il diritto a una vita sana. Il 20 marzo 2023 è stata emessa una sentenza che ha respinto le richieste dei ricorrenti. Il 1 aprile 2023, trentaquattro querelanti hanno ricorso in appello e la causa è tuttora in discussione alla Corte d’appello giapponese.
Il governo giapponese e le banche promuovono la costruzione di nuove centrali a carbone
Per molti anni, il Giappone ha puntato sull’energia a carbone come fonte di energia e le banche hanno sostenuto le aziende a costruire o ammodernare le centrali a carbone in sostituzione di quelle a energia nucleare, soprattutto dopo il maremoto che ha colpito Fukushima nel 2011. Ma così facendo, il governo giapponese sta venendo meno ai suoi impegni di riduzione delle emissioni di CO2, che nel 2022 ha diffuso la sua road map per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
Banche commerciali come Mizuho, Smbc (Sumitomo Mitsui Banking Corporation, la seconda banca privata più grande del Paese) e Mufg (Mitsubishi Ufj Financial Group) svolgono un ruolo cruciale nel sostenere la realizzazione delle centrali a carbone. Nonostante l’opposizione dei cittadini di Kobe, le tre banche hanno concesso insieme oltre 1,5 miliardi di dollari di prestiti per le unità 3 e 4 nel 2018. Dopo la concessione del prestito, tutti e tre gli istituti hanno messo in atto politiche di esclusione dei finanziamenti per le centrali a carbone nuove o ampliate tra il 2022 e il 2023. Tuttavia, queste politiche non sono state applicate ai finanziamenti precedenti, come quelli erogati alle unità 3 e 4 della centrale di Kobe, anche se queste hanno iniziato a funzionare commercialmente solo nel 2022 e nel 2023.
Il Giappone propone false soluzioni alla crisi climatica
Le deludenti decisioni da parte dei tribunali e il sostegno delle tre banche al carbone dimostrano la mancanza di senso di urgenza del Giappone quando si tratta di cambiamenti climatici e dei loro effetti sulle persone. Incoraggiate dal governo e dalle banche, le aziende fossili continuano a fare business as usual, anche affidandosi a false soluzioni. Il piano di decarbonizzazione di Kobelco, ad esempio, si basa sulla co-combustione dell’ammoniaca delle sue centrali a carbone, per ridurre le emissioni di CO2. L’industria fossile in Giappone sta puntando molto su questa tecnologia per ripulire le centrali a carbone: il primo aprile 2024, Jera (il principale player energetico del Giappone) ha avviato il primo test su scala commerciale di co-combustione di un mix di carbone con un 20 per cento di ammoniaca grigia (prodotta a partire dal metano). Se i risultati saranno soddisfacenti, Jera punta a validare la tecnologia di co-combustione carbone-ammoniaca entro un anno, a marzo 2025.
Ma questo è il problema: per l’avvio su larga scala dell’impiego di ammoniaca presso altre centrali a carbone bisognerà attendere fino al 2027-2028. E nonostante l’iniziativa di Jera sia supportata dal centro di ricerca statale Nedo (e si inserisca così nei piani di transizione del Giappone per la decarbonizzazione del settore energetico), la co-combustione di carbone e ammoniaca non è ancora attestata su larga scala, mentre esistono alternative molto più valide su cui puntare. Come le energie rinnovabili. Senza contare che diversi rapporti hanno evidenziato che l’introduzione della co-combustione dell’ammoniaca ha uno scarso effetto sulla riduzione delle emissioni di CO2.
Le misure adottate dal Giappone per combattere i cambiamenti climatici e le politiche delle sue maggiori banche sono quindi altamente inadeguate e il continuo sostegno alle centrali a carbone non farà altro che accelerare ulteriormente la crisi climatica. Conoscere la storia del comitato No Coal Kobe serve prima di tutto per far sapere che qualcuno sta combattendo affinché le cose cambino. Ora chissà se la corte d’appello giapponese, chiamata a pronunciarsi sull’esposto presentato dal comitato, sarà influenzata dalla recente sentenza in cui la Cedu ha condannato la Svizzera per inazione climatica. Si tratta di due ordini di giudizio distanti tra loro, è vero, non solo geograficamente ma anche sul piano del diritto, ma si sa che la speranza è l’ultima a morire.