ONU: “Se Stati e aziende applicassero le tecnologie esistenti, il mondo potrebbe ridurre l’inquinamento da plastica dell’80% entro il 2040”

ValigiaBlu

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Un nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), “Turning off the Tap: How the world can end plastic pollution and create a circular economy” (“Chiudere il rubinetto: come il mondo può porre fine all'inquinamento da plastica e creare un'economia circolare sostenibile”), ha tracciato una tabella di marcia per ridurre drasticamente l'inquinamento da plastica.

Secondo il rapporto – che delinea l'entità e la natura dei cambiamenti necessari per creare un'economia circolare sostenibile, rispettosa dell'uomo e dell'ambiente – l'inquinamento da plastica potrebbe essere ridotto dell'80% entro il 2040 se i paesi e le aziende utilizzassero le tecnologie esistenti per apportare cambiamenti significativi alle politiche e al mercato.

L’UNEP propone tre tipologie di interventi – riutilizzo, riciclo, riorientamento e diversificazione – che implicano il passaggio a un’economia di tipo circolare. Questo passaggio comporterebbe un risparmio di oltre mille miliardi di dollari, considerando i costi e i ricavi del riciclo. Mentre altri 3mila miliardi di dollari verrebbero risparmiati grazie agli impatti indiretti sulla salute, il clima, l'inquinamento atmosferico, il degrado degli ecosistemi marini e i costi legati alle controversie legali. Inoltre, questo cambiamento potrebbe portare a un aumento netto di 700.000 posti di lavoro entro il 2040, soprattutto nei paesi a basso reddito, migliorando significativamente le condizioni di vita di milioni di lavoratori impegnati in contesti informali.

Tuttavia, non c’è molto tempo da perdere, aggiunge il rapporto. Un ritardo di cinque anni potrebbe portare a un aumento di 80 milioni di tonnellate di inquinamento da plastica entro il 2040.

“Il modo in cui produciamo, utilizziamo e smaltiamo la plastica inquina gli ecosistemi, crea rischi per la salute umana e destabilizza il clima”, ha commentato il direttore esecutivo dell'UNEP, Inger Andersen. 

La plastica provoca un inquinamento diffuso sulla terraferma e in mare, causando danni alla salute umana e danneggiando habitat marini vulnerabili come le barriere coralline e le mangrovie. Secondo un rapporto del 2019 dell'organizzazione benefica Tearfund, ogni anno nei paesi in via di sviluppo muoiono tra 400.000 e 1 milione di persone a causa di malattie legate alla plastica e ad altri rifiuti mal gestiti.

La produzione di plastica ha anche un forte impatto sul cambiamento climatico, in quanto viene realizzata con combustibili fossili come petrolio e gas. Secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), durante il loro ciclo di vita, le materie plastiche emettono il 3,4% delle emissioni globali di riscaldamento del pianeta.

L'UNEP suggerisce di definire e implementare standard di progettazione e sicurezza per lo smaltimento dei rifiuti plastici non riciclabili e di rendere i produttori responsabili dei prodotti che rilasciano microplastiche.

È questa la posizione anche di un recente rapporto, pubblicato congiuntamente dall'organizzazione no-profit Defend Our Health e dalla campagna Beyond Petrochemicals di Bloomberg Philanthropies. Le bottiglie di plastica PET causano un pericoloso inquinamento chimico in ogni fase del loro ciclo di vita e pertanto le aziende produttrici di bevande come la Coca-Cola dovrebbero essere “ritenute responsabili degli impatti della catena di approvvigionamento delle loro materie plastiche”, si legge nel rapporto.

“La plastica ha un terribile impatto sulla salute della popolazione”, ha dichiarato Mike Belliveau, direttore esecutivo di Defend Our Health. Belliau ha esortato l'Agenzia statunitense per la Protezione dell'Ambiente (EPA) a porre limiti più severi all'uso di sostanze chimiche tossiche e ha chiesto alle aziende produttrici di bevande di sostituire almeno la metà delle loro bottiglie di plastica con sistemi di contenitori riutilizzabili e ricaricabili entro il 2030. 

Il rapporto analizza gli impatti delle bottiglie di plastica lungo tutta la catena di approvvigionamento, dalle materie prime necessarie per la loro realizzazione fino al momento del loro smaltimento. Sebbene i gruppi commerciali del settore amino pubblicizzare le bottiglie di plastica come “riciclabili al 100%”, nel 70% vengono mandate in discarica o incenerite, causando un inquinamento atmosferico che colpisce in modo sproporzionato le comunità a basso reddito e quelle di colore, si legge nello studio. Del restante 30%, solo un terzo è trasformato in nuove bottiglie, il resto viene sprecato durante il processo di riciclo o trasformato in prodotti di plastica di qualità inferiore, come la moquette. Inoltre, “con una produzione globale di rifiuti di plastica che potrebbe triplicare entro il 2060, c’è il rischio che le infrastrutture di riciclo non riescano a tenere il passo”. 

Proprio questa settimana è attesa la prima bozza del trattato delle Nazioni Unite sull'inquinamento da plastica dopo che lo scorso dicembre i diversi paesi avevano concordato di arrivare a un accordo legalmente vincolante entro il 2024. Il presidente francese Macron, che ha definito l’inquinamento da plastica una “bomba a orologeria”, ha esortato gli Stati riuniti in Francia presso la sede dell’Unesco a porre fine all'attuale modello di produzione “globalizzato e insostenibile”.

Tuttavia, i negoziatori riuniti a Parigi hanno idee diverse su come eliminare le plastiche che danneggiano l'ambiente. Uno dei nodi maggiori riguarda se l'accordo debba concentrarsi sulla pulizia dei rifiuti di plastica che già intasano gli oceani del mondo o se debba andare oltre, limitando la produzione di componenti potenzialmente dannosi nei prodotti polimerici o addirittura imponendo il divieto di utilizzo della plastica. Gli Stati Uniti, uno dei maggiori produttori e utilizzatori di plastica, finora stanno spingendo per la prima opzione, riporta Bloomberg.

Come il podcaster Joe Rogan sta alimentando la disinformazione sul clima su TikTok

Un filmato del famoso podcaster Joe Rogan che sostiene una teoria cospirativa che collega il riscaldamento globale al campo magnetico terrestre è diventato virale su TikTok, nonostante la le policy della piattaforma vietino la disinformazione sul clima. È solo l’ultimo caso di come le aziende Big Tech continuino ad alimentare online affermazioni false e fuorvianti sul cambiamento climatico.

Il sito Media Matters for America ha identificato sette video di TikTok che promuovono la cosiddetta teoria di "Adamo ed Eva", che sostiene, senza alcuna prova, che gli spostamenti dei poli magnetici terrestri abbiano da tempo causato massicce oscillazioni del clima del pianeta e altri eventi catastrofici del passato, tra cui le inondazioni di cui si parla nel racconto biblico dell'Arca di Noè.

In un episodio del 18 gennaio del podcast “The Joe Rogan Experience”, Rogan ha usato questa teoria del complotto per minimizzare la crisi climatica e definisce gli sforzi per affrontarla “un punto morto”.

Tratta da un libro scritto nel 1965 da Chan Thomas, che lavorava nell'industria aerospaziale e sosteneva di essere un sensitivo, la teoria di "Adamo ed Eva" sostiene che i poli magnetici della Terra si spostano ogni diverse migliaia di anni. Secondo Thomas, questo spostamento provoca a sua volta eventi catastrofici, come gli tsunami. Thomas ha intitolato il suo libro "La storia di Adamo ed Eva", da cui il nome della teoria.

Secondo la ricostruzione di Media Matters, il libro non è stato disponibile al pubblico fino a quando la CIA non ne ha declassificato 57 pagine nel 2013. Da allora, il libro ha alimentato i teorici della cospirazione, alcuni dei quali ritengono che gli attuali eventi meteorologici estremi siano la prova della veridicità delle affermazioni di Thomas e dell'avvicinarsi di uno spostamento del campo magnetico terrestre.

Ma queste affermazioni non poggiano su evidenze scientifiche. Infatti, la NASA riferisce che grandi spostamenti dei poli magnetici del pianeta si sono verificati diverse centinaia di volte negli ultimi 160 milioni di anni, ma che i gli studi a disposizione “non mostrano nulla di rilevante, come eventi apocalittici o grandi estinzioni”.

Ad aprile, TikTok ha annunciato che stava intensificando l'applicazione delle sue nuove policy che prevedono la rimozione di qualsiasi contenuto sul cambiamento climatico “che mina il consenso scientifico consolidato, come i contenuti che negano l'esistenza del cambiamento climatico o i fattori che vi contribuiscono”. Tuttavia, fino ad alcuni giorni fa, i video non erano stati ancora eliminati. 

I lavoratori indiani intrappolati in un circolo vizioso di carbone e ondate di calore

Finora il 2023 in India è stato meno rovente del 2022, quando le temperature a Nuova Delhi hanno superato i 49°C. Tuttavia, anche questo anno si preannuncia tra i più caldi generando un circolo vizioso che spinge ad aumentare il consumo di elettricità per alleviare le ondate di calore e a catena anche a far crescere la domanda di combustibile proveniente da grandi miniere di carbone. 

Nonostante “i notevoli progressi nelle energie rinnovabili, l’India, il paese più popoloso del mondo si affida ancora al carbone per circa tre quarti della produzione di energia e ne avrà bisogno per gli anni a venire. Il combustibile è relativamente economico e, cosa fondamentale per un'economia che importa energia, è facilmente disponibile a livello nazionale. E così i lavoratori indiani si ritrovano intrappolati, stritolati nel giogo di carbone e di ondate di calore con tutti i costi per la salute e la produttività economica che derivano dal lavorare in condizioni disumane”, si legge in un articolo di Bloomberg

La combinazione di calore e umidità può rendere alcune parti dell'India tra i luoghi più inabitabili al mondo, prosegue l’articolo. In presenza di umidità elevata, anche temperature relativamente modeste possono compromettere la capacità del corpo di raffreddarsi attraverso la sudorazione. E questo può portare a svenimenti, colpi di calore e attacchi di cuore. 

“Con l'attuale livello di riscaldamento globale, il caldo sta superando il limite di sopravvivenza”, spiega Fahad Saeed, esperto di Climate Analytics.  

Il problema è che la domanda di energia elettrica in India sta crescendo e il carbone rimarrà una parte importante del settore energetico indiano nei prossimi decenni. L'Autorità centrale per l'energia elettrica stima che rappresenterà il 54% della produzione nel 2030 e il paese sta ancora costruendo impianti a carbone.

“Questo ritarderà il taglio delle emissioni, e questa è una grande preoccupazione, non solo per l'India ma per tutto il mondo", spiega Ronita Bardhan, ingegnere dell'Università di Cambridge. “Non stiamo dicendo che l'India debba smettere completamente di usare il carbone. Ma probabilmente l'abbandono graduale e la comprensione delle opportunità e del potenziale delle energie rinnovabili, la comprensione di dove possono avvenire gli investimenti... necessitano di ulteriori discussioni”.

L'anno scorso il governo Modi ha alzato gli obiettivi di energia prodotta da fonti pulite, puntando su incentivi per incrementare la produzione di energia solare o eolica e mira a diventare un hub globale per la produzione di idrogeno e ammoniaca verdi. Ma, al tempo stesso, Delhi si è opposta alle richieste internazionali di fissare scadenze precise per l’eliminazione dell'uso del carbone. 

Le Nazioni Unite chiedono di proteggere gli attivisti per il clima dopo la repressione in Germania

“Gli attivisti per il clima - guidati dalla voce morale dei giovani - hanno continuato a perseguire i loro obiettivi anche nei giorni più bui. Devono essere protetti e abbiamo bisogno di loro ora più che mai”. Dopo la repressione nei confronti di un gruppo di manifestanti in Germania,  il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, Stephane Dujarric, è intervenuto in un articolo pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung per chiedere di proteggere gli attivisti climatici e il loro diritto di manifestare, nel rispetto in ogni caso delle legge e della sicurezza.

“I manifestanti sono stati determinanti in momenti cruciali per spingere i governi e le imprese a fare molto di più: gli obiettivi climatici globali sarebbero già fuori portata senza di loro”, ha aggiunto Dujarric. 

Nelle scorse settimane, In un'indagine contro il gruppo Last Generation, che per mesi ha interrotto il traffico cittadino nelle città tedesche, la polizia ha fatto irruzione nelle abitazioni degli attivisti per il clima di Last Generation, ha chiuso il sito web del gruppo e ha congelato due conti bancaria. I membri del gruppo sono stati accusati di aver “formato un'organizzazione criminale” in procinto di pianificare “nuovi azioni criminose”. Due degli imputati sono sospettati di aver sabotato l'oleodotto Trieste-Ingolstadt - considerato un'infrastruttura critica e quindi soggetto a una protezione speciale - nell'aprile dello scorso anno. Non sono stati effettuati arresti. Molti commentatori e altri ambientalisti hanno condannato la repressione come una risposta sproporzionata dello Stato a una protesta pacifica.

Per tutto il 2022, Last Generation ha interrotto il traffico in tutta la Germania come forma di protesta contro le politiche climatiche del Governo. Molti politici conservatori hanno criticato le proteste e chiesto dure punizioni. Anche il cancelliere Olaf Scholz aveva definito le azioni di protesta “completamente folli”.

Immagine in anteprima: frame video Oceana via YouTube

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