Mediterraneo, ancora un’altra strage che si poteva evitare

ValigiaBlu

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È un terribile déjà vu. Un nuovo naufragio in acque internazionali che porta con sé le dinamiche di sempre: assurdi tentennamenti e contenziosi tra Stati che poi si traducono in ritardi nelle operazioni di soccorso e salvataggio. Sono passate 30 ore infatti, tra la segnalazione di Alarm Phone (call center che segnala emergenze in mare gestito dalla ONG Watch The Med), nella notte dell’11 marzo, e l’intervento delle autorità italiane, dopo l’indisponibilità e i silenzi delle autorità marittime libiche e maltesi. Il bilancio è drammatico: 17 superstiti, 30 dispersi nel mare freddo di marzo. 

Secondo la ricostruzione della Guardia Costiera, Alarm Phone ha inviato una segnalazione al Centri nazionali di coordinamento del soccorso marittimo di Roma, e alle autorità libiche e maltesi nella notte dell’11 marzo, comunicando la presenza di un imbarcazione con a bordo 47 persone in area SAR libica. Successivamente la barca veniva avvistata dal velivolo “ONG Seabird 2” che inviava una chiamata di soccorso e contattava il mercantile “Basilis L” che si dirigeva verso il barchino senza riuscire ad avviare le operazioni di soccorso a causa delle condizioni meteo. Come spiega il giornalista Sergio Scandura a Radio Radicale, “la scena [per il mercantile] si è presentata subito rischiosa con onde superiori a 3 metri. I cargo non possono fare soccorso in queste condizioni perché c’è il rischio che durante le operazioni di salvataggio il barchino si schianti contro la nave più grande. I mercantili servono più a proteggere per mitigare l’effetto delle onde in attesa che arrivino assetti con ponti più bassi e più attrezzati per prestare soccorso in mare”.

Le operazioni di soccorso sono partite un giorno e mezzo dopo, nell’ormai usuale rimpallo dell’intervento tra autorità marittime libiche, maltesi e italiane. 

Come si legge nel comunicato della Guardia costiera, il Centro Nazionale di Roma è intervenuto solo dopo la richiesta delle autorità libiche che si sono dichiarate impossibilitate a intervenire per mancanza di assetti navali. A quel punto da Roma è partito un messaggio satellitare d’emergenza a tutte le navi in transito e la centrale operativa della Guardia costiera di Roma ha inviato tre mercantili presenti in zona verso la barca alla deriva. Durante il trasbordo delle persone nelle operazioni di salvataggio, condotte dalla motonave “Froland”, scrive la Guardia costiera, “il barchino si capovolgeva: 17 persone venivano soccorse e recuperate, mentre ne risultavano disperse altre 30 circa”. La motonave si dirige ora verso l’area di Porto Palo e Pozzallo.

“Non si possono far passare 30 ore sapendo che Libia e Malta sono inaffidabili”, osserva ancora Scandura su Radio Radicale. Come spiega Fulvio Vassallo Paleologo in un recente articolo su Melting Pot, secondo l’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni),“la Libia non è un porto sicuro e il numero delle persone riportate a terra dalla Guardia costiera libica non collima con quello delle presenze nei centri di detenzione e questo apre a speculazioni. Queste persone possono essere vendute per lavoro temporaneo o addirittura soggette a richieste di riscatto da parte della famiglia per essere liberate”. Mentre Malta, “non ha mai sottoscritto gli emendamenti del 2004 alle Convenzioni internazionali SAR e SOLAS e dunque non è obbligata ad indicare un porto di sbarco sicuro (POS) alle numerose imbarcazioni soccorse nella zona SAR di propria competenza”. 

E poi rispetto alla Libia, aggiunge Scandura, “va considerato che Tripoli (autorità contattata per l’intervento di salvaggio) e Bengasi (al cui largo si trovava il barchino) sono due amministrazioni diverse e fino a poco tempo fa in conflitto”. Per questo non c’è da stupirsi se “Tripoli non interviene e da Bengasi non arriva nessuna risposta”.

Infine, non si può nemmeno dire che trattandosi di zona SAR libica, la responsabilità dell’intervento fosse della Libia. Le zone SAR “non segnano un limite alla giurisdizione degli Stati, ma prefigurano semplicemente delle competenze e delle responsabilità, attribuite alle autorità statali. (...) In base alle Convenzioni internazionali (UNCLOS, SAR, SOLAS) al di là della distinzione delle zone SAR, tutti gli Stati costieri comunque informati di un evento di soccorso hanno l’obbligo di coordinare gli interventi e di attivarsi tempestivamente, anche al di fuori della propria area di responsabilità”, spiega ancora Vassallo Paleologo. Dunque, l’Italia poteva intervenire immediatamente alla luce delle condizioni in cui si trovava il barchino. Tra l’altro, sottolinea Scandura, l’area in cui si trovava la barca è “coperta da diverse navi militari italiane ed europee”. Ci sono la missione europea "Irini" che pattuglia l’area per sorvegliare l’embargo sulle armi imposto dall'ONU nei confronti della Libia e l’operazione "Mediterraneo sicuro" che ha compiti di “presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel mar Mediterraneo centrale in prossimità delle coste libiche”.

Il nodo che viene al pettine è quello di sempre, o meglio dalla direttiva firmata nel 2005 dall’allora ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu: “Monitorare il barcone, soccorso solo in caso di pericolo imminente” e  “Attenersi scrupolosamente alle indicazioni operative al fine di prevenire l’ingresso illegale di immigrati sul territorio nazionale”.

Eppure, dopo tutti gli errori che hanno causato la morte di 74 persone (il mare continua a restituire corpi), dopo i rimpalli di responsabilità, dopo l'oscena conferenza stampa (conclusasi col karaoke per il compleanno di Salvini) e dopo l'orrore (e anche la pena) delle varie dichiarazioni – da “Non devono partire” a “Inseguiremo gli scafisti in tutto il globo”, in questi ultimi giorni la Guardia costiera era tornata a salvare, o meglio aveva ricominciato a comunicare i suoi interventi, dopo cinque anni di silenzio, quasi a volersi smarcare dalle responsabilità delle catene di comando nei soccorsi.

Negli ultimi giorni la Guardia costiera ha annunciato il soccorso in mare di circa 1.200 persone che si trovavano a bordo di tre pescherecci. La prima richiesta di aiuto è stata ricevuta da Alarm Phone. L’imbarcazione era stata individuata anche da un aereo di Frontex. 

487 persone, di cui 38 minori, provenienti da Pakistan, Egitto, Siria, Afghanistan e Nepal, sono arrivate nel porto di Crotone nella notte tra il 10 e 11 marzo a bordo del peschereccio su cui viaggiavano, trainato da un rimorchiatore perché le condizioni del mare non avevano permesso il loro trasferimento sulle imbarcazioni dei soccorritori.

Altri 800 naufraghi sono stati soccorsi su altri due motopesca. Le operazioni di salvataggio, rese difficili dalle condizioni meteo marine sfavorevoli e dal sovraccarico delle due imbarcazioni – ha comunicato la Guardia costiera – sono state coordinate dalla nave Dattilo (Guardia costiera) che ha recuperato 500 persone a bordo di una delle due barche. Le 379 persone che si trovavano sull’altra imbarcazione sono state soccorse dalla Nave Sirio (Marina Militare) e fatte sbarcare al porto di Augusta. 

La nave Diciotti (Guardia costiera), infine, ha portato in salvo al porto di Reggio Calabria altre 584 persone. La nave, che  si stava dirigendo verso Lampedusa per trasferire alcune centinaia di migranti ospiti della struttura di prima accoglienza dell’isola, è stata dirottata a sud di Lampedusa per tre diversi interventi di soccorso in mare.

La Guardia costiera, come abbiamo visto, ha testimoniato le sue attività di soccorso su più canali. Qui il video dell’intervento coordinato dalla nave Dattilo:

Qui altri video sulle complicate fasi di soccorso delle ultime notti:

Sulla sua pagina Facebook, la Guardia costiera ha rilanciato il servizio del TG1 che dava notizia del salvataggio dei 1.200 naufraghi: 


Evidente il tentativo di non “passare per capro espiatorio di scelte politiche che hanno perfino imposto il silenzio, in questi ultimi anni, alle attività operative di uno dei corpi di soccorso più apprezzati al mondo, le cui operazioni e capacità operative vengono studiate dai soccorritori di ogni continente”, come osserva il giornalista Nello Scavo su Avvenire. Che contina:

E la strage di Cutro ha fatto emergere con forza anche l’imposizione del silenzio, che non ha permesso all’opinione pubblica di conoscere in tempo reale quante e quali operazioni fossero in corso, nonostante le reiterate richieste dei giornalisti oramai tenuti alla larga, sempre per ordine politico, perfino dalla banchine dove vengono sbarcati i naufraghi salvati dai soccorritori di Stato.

“Il filmato diffuso dalla Guardia costiera, nel quale vengono riassunte le difficili operazioni congiunte per intercettare e soccorrere alcuni barconi nel Mar Jonio – prosegue Scavo – sono la prova di come soccorso e attività investigativa possano essere svolti in contemporanea, come avveniva in passato, non rischiando di sacrificare decine di vite umane per dare la precedenza ad indagini che vengono comunque svolte grazie a videocamere di velivoli e motovedette con cui si possono riprendere le mosse degli scafisti”.

Nel frattempo, il 12 marzo è stata segnalata una nuova operazione SAR della Guardia costiera a 14 miglia sud-sudo vesti di Capo Spartivento.

In poche ore sono arrivate migliaia e migliaia di persone che si sono auto-organizzate e sono arrivate a Lampedusa su piccole imbarcazioni, senza la presenza di navi delle ONG o il ricorso a scafisti, a ulteriore testimonianza di come poi la realtà arrivi a smontare tesi che ogni tanto rifanno capolino – come quella secondo cui le ONG svolgano un ruolo di pull factor delle migrazioni – nonostante non abbiano evidenze a sostegno e siano state più volte smontate. 

Come osservava l’analista ISPI, Matteo Villa, alcuni giorni fa, “da inizio governo, a 3.382 migranti salvati dalle ONG sono stati assegnati porti in media a 900 km di distanza. Nel frattempo, 39.570 migranti sono sbarcati in Sicilia o Calabria”.

Intanto, una fonte ufficiale di Frontex, ha detto a Euractiv che l'agenzia di frontiera dell'Unione europea ha analizzato in tempo reale i dati intercettati dall'imbarcazione di migranti naufragata a Cutro insieme a due rappresentanti ufficiali italiani presso la sede di Frontex a Varsavia.

Al momento dell'intercettazione, il live streaming dei sensori è stato condiviso in diretta sia con le autorità italiane che con il quartier generale di Frontex a Varsavia, rafforzato da due esperti italiani, nell'analisi di diversi dati e segni di riconoscimento, ha dichiarato la fonte di Frontex: “Abbiamo un esperto delle forze dell'ordine [della Guardia di finanza] e un esperto SAR (ricerca e salvataggio) della Guardia costiera. Sono lì per dare consigli nelle loro aree di competenza, suggerire dove monitorare e fornire al team leader di Frontex informazioni aggiuntive se necessario”.

Parole che mettono in dubbio la posizione mantenuta a oltranza dall'Italia, che sostiene di non essere stata adeguatamente allertata la notte del 25 febbraio, poche ore prima del naufragio sulla costa meridionale della Calabria, che ha causato la morte di oltre 70 persone e tanti minori.

Gli errori, le falle e le falsità della versione del governo sulla strage di Cutro

Immagine in anteprima: Screenshot frame video Avvenire via YouTube

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