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Non solo le biotecnologie, anche il sapere indigeno è in grado di sviluppare e conservare varietà colturali resistenti ai cambiamenti climatici. Ne sono la prova gli agricoltori indigeni Gurung del Nepal centrale, i quali stanno lavorando attivamente per far rivivere una varietà di miglio quasi dimenticata ma resistente alla siccità come poche altre. Si tratta del miglio a coda di volpe (Setaria italica), un cereale tradizionalmente coltivato come coltura di carestia poiché matura in un periodo dell’anno in cui gli agricoltori hanno già raccolto tutto il resto. «Il miglio a coda di volpe viene raccolto prima del monsone, tra giugno e luglio, quando le altre colture non crescono più. A differenza delle altre colture da reddito, ha però bisogno di molta meno acqua per crescere e richiede solo tre mesi per essere raccolto per il consumo», ha spiegato Bina Gurung, un contadino del piccolo villaggio di Ghopte impegnato nell’impresa.
Il miglio a coda di volpe, conosciuto localmente come bariyo kaguno, in passato era una coltura di base nella regione, tant’è che veniva impiegato come sostituto quotidiano del riso. Tuttavia, negli ultimi decenni, la sua coltivazione ha subito un forte calo quando colture come il riso, il grano e il mais sono diventate via via più commerciali. Nonostante la spiccata resistenza alla siccità e delle eccellenti proprietà nutritive, il miglio a coda di volpe è così passato di moda e ha sfiorato la soglia dell’estinzione. In un mondo globalizzato, con il settore agricolo in mano ad un pugno di multinazionali, la perdita irreversibile di varietà locali non è però un’eccezione. Anzi, ai ritmi attuali, sembra ormai destinata a diventare la regola. «Con l’aumento dell’uso di sementi ibride, molte delle nostre varietà di semi locali si sono già estinte», ha spiegato Bina sottolineando quanto il Nepal non sia esente dal fenomeno. Il miglio a coda di volpe, tra l’altro, difficilmente riesce a garantire una notevole resa, motivo per cui gli agricoltori sono stati più inclini a coltivare colture più redditizie da vendere più facilmente sul mercato. Per fronteggiare l’ormai cronica mancanza di acqua, si è però deciso di tentare il tutto per tutto per farlo tornare in voga. In particolare, il merito va alle donne Gurung, più tradizionalmente impegnate nei campi rispetto agli uomini, e alla banca comunale dei semi di Ghanpokhara.
Il miglio a coda di volpe rappresenta un’opportunità come poche altre in un contesto in cui diversificare significa resistere. Il cereale può infatti favorire l’adattamento alle nuove sfide climatiche in uno dei Paesi più vulnerabili al mondo agli effetti del riscaldamento globale. Basti pensare che il solo distretto di Lamjung, dove vivono gli indigeni Gurung, in pochi anni ha sperimento un aumento significativo delle temperature, combinato a siccità, alterazioni nella stagione dei monsoni e precipitazioni irregolari. In particolare, è stata la banca comunale dei semi di Ghanpokhara a svolgere un ruolo centrale nel rilancio della coltura. Fondata nel 2016, la banca locale dei semi è stata creata con il sostegno dell’organizzazione di ricerca Local Initiatives for Biodiversity, Research and Development e di un gruppo nazionale di banche dei semi. Oggi, l’ente di conservazione tutela 63 varietà di riso locali, tra cui 23 endemiche di Ghanpokhara, e promuove l’agricoltura biologica coinvolgendo gli agricoltori nella conservazione dei semi facilitando, al contempo, il loro accesso ai mercati. «Gli agricoltori di Ghanpokhara potrebbero limitarsi a coltivare altre colture da reddito o a gestire delle strutture ricettive per trarre benefici finanziari – ha commentato la contadina Ratna Gurung – ma dal momento che la banca dei semi e il governo locale sostengono la produzione di varietà sottoutilizzate, la comunità è incoraggiata ad aumentare i propri sforzi per rilanciare il miglio a coda di volpe e altre colture». La buona notizia è che le cose sembra stiano funzionando: la domanda di questa coltura è ad esempio aumentata anche nelle aree urbane, poiché considerata un’opzione più salutare rispetto ad altri cereali grazie al suo indice glicemico più basso, il che la rende più adatta per chi è affetto da diabete di tipo 2.
[di Simone Valeri]