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- Le Tea sono definite come i “nuovi ogm”: questa equiparazione con le tecniche di transgenesi, confermata al momento da una sentenza della corte europea, non mette d’accordo tutti e da essa dipende la regolamentazione di queste nuove biotecnologie.
- Mentre l’Italia da una parte vieta gli ogm, dall’altra ha dato il via libera alla sperimentazione in campo delle Tea, avvalorate come soluzione per rendere l’agricoltura più resiliente e garantire la sicurezza alimentare.
- Se per Luigi Cattivelli del Crea queste tecniche faranno parte dell’agricoltore del futuro, il professore Salvatore Ceccarelli esprime alcune perplessità in merito ai loro rischi e alla capacità di rappresentare una soluzione nel tempo.
In gergo vengono chiamati “nuovi ogm”, il termine scientifico che li identifica, invece, è quello di Tea, acronimo di Tecniche di evoluzione assistita, in inglese Nbt (New breeding techniques) o Ngt (New genomic techniques).
Si tratta di nuove biotecnologie che si sono sviluppate a partire dagli anni 2000: le tecniche principali sono la cisgenesi e l’editing del genoma; quest’ultimo comprende il sistema Crispr/Cas9, sviluppato dalle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna che nel 2020, per la loro scoperta, hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica.
Dalla transgenesi alla mutagenesi: come funzionano le Tea e qual è la differenza con gli ogm
La differenza tra queste nuove tecniche e gli ogm sviluppati a partire dagli anni ‘70 è che, mentre gli ogm prevedono l’inserzione nel genoma di un organismo delle sequenze di geni di altre specie – dunque del dna estraneo – , le Tea intervengono sul genoma di un organismo con geni provenienti da organismi della stessa specie: il risultato dunque non è una transgenesi come nel caso degli ogm, ma una mutagenesi, una mutazione.
Come sono regolamentate le tecniche di evoluzione assistita in Europa e in Italia
Una delle questioni principali attorno alle Tea riguarda proprio l’equiparazione o meno di queste nuove tecniche agli ogm e quindi la loro regolamentazione nel mercato: devono essere sottoposte alle stesse norme degli ogm o serve un nuovo regolamento? Attualmente vale una sentenza della corte costituzionale europea che ha stabilito che sulle Tea si applicano le stesse norme di legge dell’Unione europea relative agli ogm che seguono il principio di precauzione: prima di poter essere immesso sul mercato dell’Ue ogni prodotto od organismo geneticamente modificato è sottoposto a una procedura di autorizzazione nel corso della quale è accuratamente valutata la sua sicurezza per l’uomo, gli animali e l’ambiente. Nel 2021, però, la Commissione europea ha avviato un processo di consultazione per arrivare a un nuovo quadro normativo sulle Tea e la proposta legislativa è attesa per il prossimo 5 luglio.
In Italia è vietato coltivare ogm a fini commerciali, ma è consentita la commercializzazione dei loro prodotti nel rispetto delle regole di etichettatura. Lo scorso maggio è stato approvato, invece, all’interno del decreto siccità un emendamento che dà il via libera, alle sperimentazioni delle Tea non solo in laboratorio, ma anche in campo così come avviene già negli Stati Uniti, in Canada, Sudamerica, Giappone, Regno Unito, Belgio, Svezia e Spagna.
I vantaggi attribuiti alle tecniche di evoluzione assistita (su cui non tutti sono d’accordo)
Come le tecniche di transgenesi, anche quelle di mutagenesi vengono avvalorate dall’obiettivo di rendere le piante più resistenti alle malattie, ai parassiti e sempre più, anche ai cambiamenti climatici che rendono imprevedibili gli eventi estremi come la siccità o, al contrario, le alluvioni. Le piante ottenute con mutagenesi richiederebbero quindi meno utilizzo di fertilizzanti e pesticidi in linea con gli obiettivi del Green deal europeo. Non tutti però concordano con questa visione. A livello europeo e italiano, partiti dei verdi, associazioni ambientaliste e del biologico contrastano la deregolamentazione di queste tecniche rispetto agli ogm in quanto comporterebbero gli stessi rischi e le stesse problematiche degli organismi transgenici e propongono, invece, altre soluzioni per rispondere alle sfide contemporanee dell’agricoltura e della sicurezza alimentare.
Di seguito articoliamo i diversi pareri attraverso il contributo di alcuni esperti del settore.
Cattivelli, direttore Crea: “Le Tea sono parte del futuro dell’agricoltura”
Luigi Cattivelli è specialista di genetica vegetale, direttore del Crea Genomica e Bioinformatica e coordinatore di Biotech, il primo grande progetto italiano dedicato al miglioramento genetico vegetale finanziato nel 2018 con 6 milioni di euro dal ministero dell’Agricoltura e conclusosi nel 2021. Il progetto ha interessato colture di rilievo per l’agroalimentare italiano quali vite, olivo, albicocco, pesco, ciliegio, melo, pero, pomodoro, melanzana, basilico, carciofo, frumento, riso, pioppo. La ricerca ha ottenuto diversi risultati tra cui pomodori resistenti alla germinazione delle piante parassite, frumento duro non attaccabile dalle malattie fungine, uve e melanzane senza semi e arance arricchite di sostanze antiossidanti.
“Non è corretto equiparare le Tea agli ogm”, spiega Cattivelli. “Nel caso, per esempio, della soia o del mais transgenico, il gene inserito nella specie vegetale proviene da un batterio. Le nuove tecniche genomiche intervengono sull’organismo solo con geni di organismi della stessa specie di appartenenza ottenendo una mutazione. La mutazione in natura è alla base dell’evoluzione o per dirla in altro modo, l’evoluzione è il risultato di una mutazione”.
Le Tea contribuirebbero dunque ad accorciare notevolmente i tempi di selezione, rendendo possibile in pochi anni quello che prima, nelle piante arboree, richiedeva alcuni decenni. “In natura le piante non si evolvono per farsi mangiare dall’uomo; è l’uomo che da millenni le addomestica per produrre cibo, tanto che possiamo dire che in commercio non esistono piante con una genetica più vecchia di 40 anni”.
Il progetto Biotech ha dato risultati anche sulla vite: “La varietà di vite Glera che si utilizza per fare il prosecco è soggetta a molte malattie. L’inserimento di un gene di una varietà di vite resistente alle malattie consente di ottenere una pianta che non si ammala, ma che ha le stesse caratteristiche della varietà Glera”. E tutto questo si può fare, secondo Cattivelli, senza rischi o quanto meno con gli stessi rischi delle altre coltivazioni, e in modo più prevedibile di quanto avvenga in natura. Inoltre, secondo Cattivelli, il risultato è lo stesso: davanti a una mutazione, non si può risalire a come sia avvenuta, se naturalmente o in laboratorio.
Che fine fanno in tutto questo la biodiversità e le pratiche agricole tradizionali? “La biodiversità è un concetto che ha un passato e un futuro perché noi creiamo e selezioniamo biodiversità tutti i giorni. È giusto conservare le tecniche di agricoltura tradizionale, ma questo non sarà il futuro o, di certo, non sarà solo questo. Con il riscaldamento globale ha poco senso per esempio, coltivare un grano antico che cresceva in un clima sicuramente più freddo di quello attuale; però posso sfruttare una caratteristica che ritengo funzionale di un grano antico e inserirne il gene responsabile nella varietà di grano che voglio rendere resistente”.
Ceccarelli, professore e ricercatore: quattro perplessità sulle Tea e una soluzione alternativa
Salvatore Ceccarelli è stato professore associato di Risorse genetiche e successivamente di Miglioramento genetico alla Facoltà di agraria dell’Università di Perugia fino al 1987; per trent’anni ha condotto studi presso il Centro Internazionale di Aleppo per la ricerca agricola in ambienti asciutti. Autore di numerosi lavori scientifici, ha svolto ricerche in tutto il mondo sull’adattamento delle colture ai cambiamenti climatici a partire dalla genetica.
Riguardo alle tecniche di evoluzione assistita ha condiviso con noi alcune perplessità che, secondo il suo parere, suggeriscono di astenersi dal consentire l’uso di queste tecniche in agricoltura e di deregolamentarne la sperimentazione: “La prima è collegata a una ventina di pubblicazioni sulle riviste scientifiche più importanti che dimostrano come con la tecnica Crispr/Cas9 si registrano mutazioni in punti del genoma diversi da quelli del gene su cui si è intervenuto, con conseguenti effetti collaterali indesiderati; nel 2021 è stato pubblicato un lavoro che dimostra anche che Crispr- Cas9 causa danni cromosomici simili a quelli che insorgono all’inizio dei processi che portano allo sviluppo dei tumori nell’uomo”.
“La seconda perplessità – continua Ceccarelli – riguarda il fatto che i caratteri rilevanti di un organismo a livello agronomico sono controllati, in molti casi, non da un singolo gene, ma da molti geni che possono appartenere anche a cromosomi diversi; inoltre, questi caratteri non sono solo questioni genetiche, ma vengono anche molto influenzati dall’ambiente circostante”.
Il professore prosegue: “La terza perplessità considera l’aspetto evoluzionistico. La questione centrale non è se le Tea siano o non siano ogm: il punto è che entrambe le tecnologie soffrono delle stesse debolezze. La maggioranza degli ogm, come la soia e il mais, sono sviluppati con una resistenza agli erbicidi, ma è dimostrato da diversi studi come, con il tempo, anche le piante infestanti si evolvono per sviluppare questa resistenza, richiedendo così un impiego sempre maggiore di erbicida. Il risultato, dunque, è esattamente il contrario dell’obiettivo che ci si era prefissati creando l’organismo geneticamente modificato”. Sulla base della teoria evoluzionistica, secondo il ricercatore, le Tea non possono rappresentare una soluzione durevole alla suscettibilità delle piante.
“L’ultima perplessità riguarda il fatto che, per spostarsi da un organismo all’altro, i geni hanno bisogno di un vettore: si tratta di pezzettini di rna o di dna che nulla hanno a che fare con l’organismo in questione, e che a loro volta si integrano nel genoma dell’ospite insieme ai geni per la resistenza, per cui le Tea sono, a tutti gli effetti degli ogm”. Secondo Ceccarelli, le Tea non risponderebbero all’imprevidibilità dei cambiamenti climatici che influenzano la diffusione, la crescita e la sopravvivenza di malattie, insetti e infestanti che attaccano le piante.
La soluzione, a cui lo scienziato dedica la sua ricerca a stretto contatto con gli agricoltori, sarebbe invece quella delle diversità tra colture ed entro colture che ha il suo culmine nelle “popolazioni evolutive” e che Ceccarelli spiega così: “Questa pratica consiste nel seminare in uno stesso campo piante diverse della stessa specie. Facendo in questo modo, un fungo o un insetto che arriva in questo campo riesce a colpire una pianta suscettibile, ma ci impiega più tempo per “trovarla” e quindi per diffondersi. Così facendo, minimizzo quindi i danni alla coltura perché nel frattempo la pianta crescerà e all’agricoltore sarà garantito il raccolto senza interventi chimici, inoltre evito che il parassita si evolva perché ha avuto la possibilità di riprodursi. Allo stesso tempo, questa pratica consente anche alle piante di incrociarsi tra di loro per creare nuovi genotipi e diventare più resilienti. Il mescolamento di semi non è statico, ma dinamico: a fine raccolto, il seme (che non sarà più quello di partenza) viene nuovamente seminato e, col tempo, le piante diventeranno una popolazione con un potenziale evolutivo maggiore“.
Il miglioramento genetico evolutivo ha lo scopo di riportare il controllo dei semi nelle mani degli agricoltori con un vantaggio economico, ma anche biologico “perché non c’è miglior seme di quello che si adatta anno dopo anno”. “Non è un discorso romantico, dietro questa pratica ci sono 100 anni di studi scientifici: mescolando i semi si applica all’agricoltura e alle piante la stessa strategia che si applica agli investimenti finanziari”. Una soluzione che, come sottolineato, infine, dal professore, la Commissione europea prevede per l’agricoltura biologica con il riconoscimento del valore del “materiale biologico eterogeneo” e che è già stata implementata con successo da molti agricoltori che fanno parte di piccole filiere locali.