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Se il turismo occidentale smanioso di esotismi ha raggiunto persino alcuni angoli della foresta amazzonica è per lasciarsi sedurre dall’alone di mistero attorno all’ayahuasca, la “liana delle anime” in lingua quechua. Con questo termine ci si riferisce sia alla pianta che all’infuso, simile a un tè medicinale a base vegetale, che può avere un effetto psicoattivo se viene bevuto. Le persone che la assumono spesso riferiscono di viaggiare nel tempo, entrare in comunione con gli spiriti o con un potere superiore, raggiungendo uno stato finale capace di alleviare l’ansia e la depressione. Una pratica che, negli anni, ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo.
Il filosofo naturalista Terence McKenna, fra le figura più significative della controcultura americana degli anni Sessanta e esponente della cultura psichedelica che andava affermandosi in quegli anni, ha definito così l’esperienza dell’ayahuasca.
Un livello sonoro che diviene più denso e si materializza in piccole creature simili a gnomi fatti di un materiale simile all’ossidiana, emesso dal corpo, dalla bocca e dagli organi sessuali, per tutta la durata del suono. È effervescente, fosforescente e indescrivibile. Le metafore linguistiche diventano inutili, perché questa materia è al di là del linguaggio, non un linguaggio fatto di parole, un linguaggio che diviene le cose che descrive.
La chimica dell’ayahuasca
Alla base del potente effetto psicotropo dell’ayahuasca c’è una profonda conoscenza del mondo delle piante allucinogene e del bilanciamento degli svariati effetti che sono in grado di produrre. Il tradizionale decotto è infatti composto da due ingredienti diversi: la Psychotria viridis e Banisteriopsis caapi, arbusti originari dell’Amazzonia e della fascia tropicale del Sudamerica. Le foglie di Psychotria viridis contengono N,n-dimetiltriptammina, nota anche con la sigla Dmt, una sostanza allucinogena comune in natura e presente in molte varietà di piante come le mimose, le acacie e anche in alcuni funghi. Pur avendo un effetto abbastanza potente, il nostro organismo riesce a metabolizzarlo velocemente. Per questa ragione la Psychotria viridis viene unita ad un’altra pianta, la Banisteriopsis caapi, la cui corteccia contiene sostanze in grado di inibire gli enzimi deputati alla “digestione”, amplificando l’effetto psicoattivo dell’infuso.
Si tratta degli inibitori della monoamino ossidasi, che troviamo all’interno dei farmaci utilizzati nel trattamento della depressione e dei disturbi psichiatrici. In natura si presentano sotto forma di alcaloidi come l’armalina e l’armina, e sono in grado di rallentare il lavoro dei neurotrasmettitori come la serotonina, la dopamina e la norepinefrina. La loro inibizione intensifica gli effetti psicoattivi della Dmt e prolunga la durata dell’esperienza psichedelica. È grazie a questa combinazione che l’ayahuasca sprigiona i suoi effetti più potenti, in grado di alterare la coscienza, la percezione e l’umore di chi la assume. L’ayahuasca interviene su aree precise del nostro cervello come l’amigdala e altre parti del sistema limbico, cioè un insieme di componenti cerebrali che regolano le emozioni e la memoria. In particolare, l’amigdala regola il condizionamento della paura, l’ansia, l’aggressività, la memoria emotiva e il condizionamento sociale.
Le origini amazzoniche e il ruolo degli sciamani
L’ayahuasca è usata nelle culture amazzoniche da oltre tremila anni. I primi popoli indigeni vissuti intorno al bacino del Rio delle Amazzoni – territori ora ricompresi tra Perù, Brasile, Colombia, Ecuador, Bolivia e anche Venezuela – la consumavano regolarmente per entrare in contatto con il mondo spirituale, portatore di messaggi che avrebbero avuto un impatto sulla vita delle antiche comunità. Esperienze di divinazione, riti di iniziazione e rituali guaritivi erano officiati unicamente dalla figura dello sciamano, secondo quanto sostiene la maggior parte degli studiosi. Gli sciamani, figure centrali nella preparazione e somministrazione del decotto, esistono ancora oggi e oltre a rappresentare una figura affidabile e saggia per l’intera comunità possiedono una vastissima conoscenza delle piante medicinali che crescono nelle aree tropicali. In particolare, l’ ayahuaschero – o curandero – è colui il quale, dopo un lungo processo di preparazione che può durare fino a dieci ore, prepara un tè simile al fango da offrire a chi si sottopone al rito di guarigione-liberazione.
Il medico Piero Cipriano, autore del libro Ayahuasca e cura del mondo (edito da Politi Seganfreddo edizioni), ha più volte sottolineato come il valore dell’ayahuasca spesso sfugga ai tentativi di comprensione del mondo occidentale, che tende a farla coincidere con le due molecole principali. A suo dire l’ayahuasca è, a tutti gli effetti, “un contenitore farmacologico multiuso” all’interno del quale si possono provare molte altre piante. La combinazione di ingredienti, che possono includere foglie di coca, tabacco o datura (con proprietà narcotiche) è a discrezione dell’ayahuaschero, che decide di volta in volta cosa aggiungere al decotto in base agli scopi che vuole raggiungere.
Sottoporsi a una cerimonia a base di ayahuasca non è un gioco da ragazzi. Molti esperti insistono sulla necessità di una buona predisposizione, tanto fisica quanto d’animo nell’incontrare una pratica culturale non semplice, per rispettare tutti i passaggi utili a rendere l’esperienza un vero ponte di contatto con il sé più intimo e sommerso. Prima e dopo la cerimonia, per esempio, occorre rispettare una dieta in cui sono esclusi la carne di maiale e l’alcool, e ci si deve astenere dal sesso. La cerimonia vera e propria ha inizio all’interno della Maloca, una tipica struttura degli indigeni amazzonici. Qui i presenti bevono l’ayahuasca e dopo attendono che questa sprigioni i suoi effetti seduti al buio. Le prime visioni, anche se gli effetti variano di persona in persona, arrivano generalmente dopo 20-30 minuti. Spesso, queste sono seguite dalla necessità di vomitare, un passaggio fondamentale ma non obbligato all’interno delle cerimonie.
“Molti nativi – scrive Cipriano sul quotitidiano il Manifesto – utilizzano un’ ayahuasca non visionaria, cioè composta di sola liana, che non dà visioni ma intuizioni, informazioni, ed è responsabile della cosiddetta purga, del vomito che tanto inquieta gli occidentali, ma che sembra l’elemento centrale per espellere le parti patologiche. Noi occidentali, legati quasi da cinefili alle visioni, se non ci sono le visioni è come se il messaggio non arrivi, e gli sciamani, sapendolo, rinforzano l’elemento visionario”.
L’alterazione della coscienza può durare fino a 2-3 ore, un lasso di tempo accompagnato dagli icaros, canti intonati dal curandero, che in questo momento diventa una vera e propria guida all’esperienza di ognuno. La durata complessiva della cerimonia è di 6-7 ore, durante le quali è possibile assumere ayahuasca per una seconda volta. Quanto visto e sperimentato durante la cerimonia deve essere interiorizzato dall’individuo e elaborato, esplorando tutti i significati dell’esperienza.
Gli effetti dell’ayahuasca su di noi
“Le persone che assumono ayahuasca possono avere allucinazioni, spesso rivisitando traumi passati che hanno modellato o influenzano ancora le loro vite e relazioni”, afferma Jeff McNairy, direttore medico del Rythmia life advancement center, un centro specializzato nell’utilizzo medico delle piante a Guanacaste, in Costa Rica. Nel corso degli anni strutture simili si sono moltiplicate nel mondo, in particolare negli Stati Uniti, a riprova della crescita di popolarità dell’ayahuasca al di fuori dei circuiti dei seguaci della medicina tradizionale amazzonica e i frequentatori del Sudamerica. Una tendenza che rientra in un più ampio contesto di studi sul microdosaggio delle sostanze psichedeliche nel trattamento di problemi come ansia, depressione e nella cura della salute mentale.
Il rinnovato interesse nei confronti di questa pratica è riscontrabile anche in ambito scientifico, come dimostrano alcuni studi pubblicati nell’ultimo periodo. Fra i più completi c’è Ayahuasca and dimethyltryptamine adverse events and toxicity analysis: a systematic thematic review, (White, Kennedy e Sarris) pubblicato sulla National Library of Medicine degli Stati Uniti, che si focalizza sugli effetti legati all’assunzione. Secondo lo studio, nonostante numerosi pareri indichino che l’ayahuasca sia una pianta tendenzialmente sicura, vi sono alcuni casi oggetto di studio che ne collegherebbero il consumo alla psicosi. Casi simili divenuti talvolta oggetto di cronaca sono stati segnalati anche dalle chiese sincretiche nate attorno all’ayahuasca, nonostante il più delle volte sia ancora molto complesso tracciare un chiaro nesso causa-effetto. Dall’altra parte, numerose ricerche hanno sottolineato il valido apporto nel trattamento delle dipendenze da stupefacenti nella riduzione dei sintomi legati alla cessazione progressiva di tali sostanze.
Le “chiese” dell’ayahuasca nel mondo
Sebbene appaia come un’immersione totale nelle pratiche tradizionali di un popolo, le cerimonie a base di ayahuasca non sono scampate al vaglio del colonialismo occidentale. Più in generale, il curanderismo amazzonico non è rimasto puro, ma ha risentito della venuta degli europei e, soprattutto, del contatto con il cattolicesimo. Nel tempo, infatti, la ritualità indigena si è mescolata con pratiche e influenze esterne, generando quel sincretismo che oggi è stato portato nel mondo da diverse chiese legate all’utilizzo dell’ayahuasca: il Santo Daime, la Barquinha e l’Uniao do Vegetal. Si tratta di vere e proprie religioni che fondono il dogmi cristianesimo con una spiritualità coltivata tramite un rapporto diretto e inscindibile sulla terra, sottolineando il ruolo della Santissima Trinità nel dare agli esseri umani piante curative. In Italia, il Santo Daime inizia a diffondersi tra gli anni Ottanta e Novanta, trovando interesse soprattutto tra psicoterapeuti e antropologi.
Stando ai dati offerti da una laboriosa indagine condotta dall’International center for ethnobotanical education, research and service (Iceers), un’organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di ridisegnare il rapporto che le società hanno nei confronti delle piante psicoattive, oltre 4 milioni di persone provenienti dalle Americhe, Europa, Australia e Nuova Zelanda abbiano consumato ayahuasca ad un certo punto della loro vita. Di questi, solo il 4 per cento appartiene alle comunità indigene che ne fanno uso da secoli, a testimonianza di quanto sia già ampiamente globalizzata.
L’incontro con il mondo occidentale non è, di per sé, un fattore di impoverimento culturale delle pratiche antiche, ma rende ancora più importante lo studio da parte dei curanderi moderni. Portare questo sapere in contesti metropolitani è un’operazione estremamente delicata e che ha bisogno di tempo per non snaturare e ridurre il valore di tali pratiche. In primis, è importante sganciarsi dall’idea che corpo e mente siano elementi divisibili dell’essere umano: sull’indivisibilità di queste due componenti e sul rapporto che ogni essere vivente ha con la terra che lo circonda si basano le pratiche tradizionali dei popoli amazzonici.
La regolamentazione dell’ayahuasca in Italia
Il 14 marzo 2022, all’epoca del governo guidato da Mario Draghi, un decreto ministeriale ha inserito nella tabella I delle sostanze stupefacenti del Testo Unico sulle droghe del 1990 la Banisteriopsis caapi e la Psychotria viridis, le piante da cui si estraggono i principi attivi che si trovano nell’ayahuasca. A sostegno del provvedimento, il testo citava cinque segnalazioni di sequestri avvenuti tra il 2019 e il 2021, oltre a due casi di intossicazione dovuti all’assunzione di armina segnalati dal Centro antiveleni di Pavia. Di conseguenza anche il decotto è rientrato tra le sostanze da proibire.
La decisione è arrivata davanti ai giudici del Tar del Lazio dopo l’impugnazione da parte della Chiesa italiana del culto eclettico della fluente luce universale, vicina alla dottrina del Santo Daime. In seguito è approdata fino al Consiglio di Stato perché, tra le varie cose, il decreto ministeriale non allegava studi o analisi che mostrassero se effettivamente sussistesse un pericolo per la salute e la sicurezza pubbliche, come previsto dalla legge italiana sulle droghe.
Le criticità determinate da un approccio di proibizione non sufficientemente corroborato da prove scientifiche sono poi divenute palesi a pochi mesi dall’insediamento del governo di Giorgia Meloni alla fine del 2022, con il decreto che proibì i raduni musicali a cielo aperto demonizzando di riflesso il mondo delle molecole psicoattive. Il risultato finale, come sottolinea Marco Perduca dell’Associazione Luca Coscioni, è che una simile postura nei confronti dell’ayahuasca e, più in generale, delle sostanze psicoattive “non ha cancellato i fenomeni che vieta, li ha solo resi clandestini”.