Gli errori, le falle e le falsità della versione del governo sulla strage di Cutro

ValigiaBlu

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Queste persone non erano nelle condizioni di essere salvate. Ma davvero, in coscienza, c’è qualcuno che ritiene che il governo abbia volutamente fatto morire 60 persone? Cerchiamo di essere seri. La questione è semplice nella sua tragicità. Non è arrivata alcuna comunicazione di emergenza da Frontex. Non siamo stati avvertiti. Nulla di questa vicenda ha a che fare i provvedimenti del governo con le ONG. 

Ha impiegato una settimana la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per commentare la strage di Cutro, in Calabria, il naufragio più grave dal 2013 sulle coste italiane che ha provocato finora la morte accertata di 72 persone, tra cui 28 minori, e una quarantina di dispersi. E lo ha fatto facendo muro su chi chiama in causa le responsabilità delle autorità italiane nella opaca dinamica della catena di soccorso e chi chiede le dimissioni del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, non solo per le sue parole di rara disumanità subito dopo la tragedia, ma anche per l’intervento di salvataggio a naufragio ormai avvenuto. «Ogni giorno le opposizioni chiedono le dimissioni di un ministro diverso. Ormai non fa più notizia», ha detto Meloni come se la richiesta di dimissioni fosse più che altro una questione di schermaglia politica.

Perché il vice presidente del Copasir Donzelli e il sottosegretario alla Giustizia Delmastro dovrebbero dimettersi

 

Ma qui, come nel caso dell’uso di informazioni riservate da parte del deputato di Fratelli d’Italia e vicepresidente del Copasir, Giovanni Donzelli, e del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, a proposito dei presunti legami tra l’anarchico Alfredo Cospito e alcuni mafiosi, detenuti sotto il regime del 41-bis, stiamo parlando di funzionamento delle istituzioni. La questione è, dunque, istituzionale oltre che politica e, nel caso specifico, impone di fare chiarezza sulla catena delle operazioni di soccorso nelle ore immediatamente precedenti al naufragio dell’imbarcazione con circa 200 persone a bordo partita quattro giorni prima da Smirne, in Turchia.

Pretendere chiarezza non significa ritenere “che il governo abbia volutamente fatto morire 60 persone”, come afferma Meloni. Significa uscire da quel rimpallo di responsabilità e scaricabarile che va avanti ormai da una settimana tra Guardia costiera (che fa capo al ministero dei Trasporti), Guardia di finanza (che fa capo al ministero degli Interni) e Frontex (l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera). Tra chi sostiene di essere stata interpellata solo per conoscenza e che l’operazione fosse di polizia marittima, pur ammettendo che si sarebbe potuti intervenire nella mattina del 26 febbraio ma di non averlo fatto per questioni procedurali (Guardia costiera), chi afferma di non essere titolata a prestare soccorso perché l’intervento si era configurato come “law enforcement” (Guardia di finanza), e chi ribadisce di aver inviato “immediatamente una segnalazione” a tutte le autorità italiane e di aver fatto quanto di sua competenza (Frontex).

Naufragio di Crotone: una strage all’ombra dei rimpalli istituzionali sulle responsabilità

Finora, l’unica cosa certa è che – come si evince dai comunicati di Guardia costiera, Guardia di finanza e Frontex – l’operazione è stata sin da subito di polizia e non di soccorso e che l’indicazione da parte dello Stato di avviare le procedure di salvataggio non è mai partita. Da Roma, nessuno si è preso la responsabilità di coordinare i soccorsi. Nelle sue dichiarazioni da Abu Dhabi, Meloni non ha fatto nulla per sciogliere la matassa e ha anzi scaricato a sua volta le responsabilità su Frontex: «Non è arrivata alcuna comunicazione di emergenza da Frontex. Non siamo stati avvertiti».

L’Agenzia europea non ha commentato le affermazioni della presidente del Consiglio italiano, ma si è limitata a sottolineare di aver inviato una segnalazione a tutte le autorità italiane e che «la classificazione di un evento come “ricerca e soccorso”, secondo le norme internazionali, spetta alle autorità nazionali». Gli aerei e i droni di Frontex «pattugliano aree selezionate oltre le frontiere esterne dell’UE nell’ambito della sorveglianza aerea multiuso», spiega Katarzyna Volkmann, dell’ufficio stampa dell’agenzia. «Se qualcuno nota una barca che necessita di assistenza l’agenzia informa l’autorità nazionale responsabile delle attività di soccorso nell’area e segue le sue istruzioni in linea con il diritto marittimo internazionale».

Un articolo pubblicato su La Stampa individua cinque indizi presenti nella segnalazione di Frontex che avrebbero dovuto far scattare i soccorsi, invece di un’operazione di polizia, ma che sono stati mal considerati o addirittura ignorati. 

La segnalazione di Frontex – si legge nell’articolo – viene inviata a 27 indirizzi email alle 23.03 del 25 febbraio, cinque ore prima del naufragio. 

  1. Prima delle 23 “il sistema di monitoraggio satellite Flyng fish di cui il veicolo di Frontex è dotato capta una telefonata partita da un apparecchio satellitare a bordo della barca e diretta verso la Turchia. 
  2. Frontex segnalava anche “apertura bocchette a prua”, cioè l’apertura degli oblò dell’imbarcazione probabilmente per consentire alle persone di respirare. Questo doveva far già pensare alla presenza di una barca con un numero eccessivo di passeggeri. Una fonte di Frontex ha poi aggiunto a Euractiv che le autorità italiane erano a conoscenza di queste informazioni.
  3. Nella segnalazione si parla di “probabili persone aggiuntive sotto coperta” e di
  4. “Giubbotti di salvataggio non visibili”. 
  5. Infine, la presenza di un solo “uomo fuori coperta” su un’imbarcazione di quel tipo non poteva essere considerato un fatto comune. E avrebbe dovuto far scattare qualche allarme.

Le informazioni trasmesse da Frontex erano abbastanza eloquenti. Resta da capire per quale motivo, alla luce delle informazioni contenute nella segnalazione, l’intervento delle autorità italiane sia stato classificato come una operazione di polizia marittima, "law enforcement”, e non come evento SAR, di ricerca e soccorso. Dubbi che aumentano considerato che il bollettino meteo dell'aeronautica militare diramato per canali ufficiali alle 18 del 25 febbraio “con indicazioni valevoli fino alle 6 del mattino successivo” parlava di “Ionio settentrionale vento 7, mare molto mosso in aumento”. Infatti, quando le due imbarcazioni della Guardia di Finanza sono uscite per compiere l’operazione di polizia, sono poi costrette a rientrare per le condizioni marittime impervie.

Perché le condizioni del mare e le informazioni contenute nella segnalazione di Frontex non sono state sufficienti per avviare un’operazione di soccorso in mare? Viste le condizioni di mare e dell'imbarcazione, perché non è scattato il “soccorso di ufficio” che fa capo alle Capitanerie di porto – Guardia costiera? E poi resta ancora senza risposta un’altra domanda che ci portiamo dietro ormai da una settimana: perché la segnalazione del MRCC di Roma, avvenuta già 16 ore prima dell'alert di Frontex, non ha avuto seguito e nessuno è intervenuto?

A queste domande non ha risposto il ministro degli Interni, Piantedosi, che nella sua informativa a Camera e Senato, oltre a ricostruire le ore precedenti al naufragio, si è limitato a ripetere la posizione che la maggioranza di Governo sta reiterando sin dalle ore immediatamente successive alla strage dello Steccato di Cutro.

In sintesi, Piantedosi ha affermato che:

1) Non ci sono state carenze nelle operazioni di soccorso: la tragedia è stata causata dal comportamento criminale degli scafisti che hanno deciso di sbarcare di notte, al buio, in un luogo ritenuto più sicuro per sfuggire ai controlli: «Dopo una traversata di 4 giorni, superato l’arcipelago delle isole greche, sempre sulla base delle dichiarazioni, il 25 febbraio, intorno alle 18.00, gli scafisti decidono di fermarsi al largo della Calabria e attendere un momento favorevole per sbarcare ed evitare di essere avvistati da parte delle Forze dell’ordine».

2) Al momento della segnalazione di Frontex, l'imbarcazione non presentava problemi di navigazione ed era in buone condizioni, per quanto sovraffollata. Non c’erano segnali di allarme e, pertanto, il naufragio non può essere responsabilità della Guardia costiera né della Guardia di finanza che hanno operato con correttezza. In base alle informazioni in possesso della Guardia costiera, «l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale SAR; non erano variate le condizioni meteo-marine».

3) In assenza di una segnalazione di una situazione di difficoltà (distress), sostiene Piantedosi, il quadro normativo prevede che l’operazione si configuri come un intervento di polizia marittima. Pertanto, non ci si trovava di fronte a un contesto che richiedeva un’operazione di soccorso in mare. «Per rendere comprensibile il quadro normativo, a costo di una qualche semplificazione, preciso che gli interventi operativi in mare sono riconducibili a due missioni statali, quella del law enforcement e quella di ricerca e soccorso (cosiddetta SAR). [...] L’attivazione dell’intero sistema SAR non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza. Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo SAR. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia, anche in ragione di quanto prima osservato circa la capacità di soccorso delle nostre unità navali. È esattamente quanto avvenuto nel caso in questione».

4) Non trattandosi di una situazione di distress, e in assenza anche di una «segnalazione di allarme o richiesta di aiuto dall’imbarcazione in questione», sono state inviate due motovedette della Guardia di Finanza che però, prima delle 4, sono state costrette a tornare indietro «a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto». Poco dopo, «sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico». Solo da questo momento, afferma Piantedosi, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane. Quando i soccorritori arrivano a Steccato di Cutro, i soccorritori trovano davanti ai loro occhi «i corpi di tante vittime innocenti, bambini, donne e uomini, riversi sulla battigia, i naufraghi e quel che rimaneva dell’imbarcazione, incagliata a circa 40 metri dalla spiaggia». 

Fin qui Piantedosi. Ma la sua ricostruzione e le sue spiegazioni mostrano molte falle:

1) Innanzitutto, non è corretto affermare che in assenza di un segnale d’allarme, l’intervento si configura in automatico come operazione di polizia. Come spiega il giornalista di Radio Radicale, Sergio Scandura, “non si può anteporre 'uber alles' l'operazione di polizia al SAR. [Le imbarcazioni] Sono bombe galleggianti pronte a esplodere in naufragi, in stragi. Le norme internazionali dicono che queste imbarcazioni, proprio perché stracariche, proprio perché 'bombe', vanno considerate in automatico, per default, in difficoltà, in 'distress'. Sono linee internazionali (IMO, authority marittima ONU), regolamenti UE in materia di soccorso. Al soccorso, al SAR la priorità. La Guardia costiera arriva sul target, assicura e rassicura i naufraghi con megafono sul da farsi per evacuarle (anche con mediatori a bordo). Si tirano via prima donne, bambini e vulnerabili: non si chiedono 'le impronte' a chi sta per annegare”.

Inoltre, non è neanche corretto dire che la richiesta di assistenza sia un fattore essenziale per stabilire se ci si trova davanti a un evento SAR o di polizia, aggiunge sempre su Twitter, Vitalba Azzollini.

Il disciplinare SAR del 2020 prevede che le operazioni di ricerca e soccorso possano essere attivate in base a un riscontro oggettivo di situazioni di pericolo, anche dubbio o eventuale.

2) Piantedosi si contraddice quando prima dice che le condizioni del mare non erano pericolose per la navigazione, giustificando così perché si è proceduto con l’operazione di polizia marittima, e poi precisa che le due motovedette della Guardia di finanza sono state costrette a rientrare a causa del mare grosso. “Se i mezzi della guardia di finanza sono dovuti rientrare in porto a causa del maltempo, come è stato possibile considerare ‘non’ in pericolo un caicco che navigava nello stesso momento sovraccarico in quella zona?”, si chiede Annalisa Camilli.

Infine, il ministro ha voluto dare alcune informazioni di contesto per avvalorare l’efficacia delle politiche governative e insinuare un nesso tra presenza delle ONG e morti in mare. Tra queste, Piantedosi ha sostenuto che «solo nel 2016, anno in cui era ancora operante l’operazione navale umanitaria Mare Nostrum – avviata all’indomani del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 con 368 morti, dispiegando un possente dispositivo aereonavale e con la presenza di navi ONG - le vittime nel Canale di Sicilia furono 4.574 secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale della Migrazione. Nel 2022, in base alla medesima fonte, le vittime sono state 1.377».

Anche in questo caso le comunicazioni del ministro sono quanto meno imprecise. Mare Nostrum si è conclusa nel 2014 e le ONG sono arrivate dopo, proprio per riempire quel «vuoto lasciato dagli Stati» di cui spesso parlano nei comunicati, ricorda Giansandro Merli.

In conclusione, come sottolinea Adriano Biondi, Piantedosi “ha fatto confusione nella ricostruzione, non è riuscito a delineare con precisione la catena di comando e le responsabilità delle scelte operate nelle ore in cui si è consumata la tragedia; si è lasciato andare a considerazioni tecniche molto discutibili (ad esempio sulla configurazione o meno di un evento SAR) e ha semplificato brutalmente la distinzione fra le operazioni di soccorso e quelle di law enforcement (centrale per capire cosa non abbia funzionato). Un disastro sul piano formale finanche inspiegabile, visto che non parliamo di una conferenza stampa o di dichiarazioni estemporanee, ma di un'informativa preparata per tempo e in un clima che avrebbe richiesto grande attenzione a ogni singolo passaggio”.

Di fatto, nel suo intervento il ministro ha difeso l’approccio del governo al fenomeno migratorio, emerso anche dalla sue affermazioni a caldo subito dopo il naufragio, figlie di una cultura politica portata avanti con coerenza: le migrazioni e la loro gestione sono più una questione di polizia che di soccorso. E chi si mette in mare, in fondo, un po’, se la cerca. È questo impianto ideologico rispetto al fenomeno delle migrazioni che va smantellato prima ancora di chiedere le dimissioni di questo o quel ministro.

Se ciò non avverrà, gli scenari possibili sono facilmente immaginabili. Stragi come quella di Cutro sono destinate a ripetersi, poiché ormai si è accettato - persino propagandato - come negoziabile o derogabile il dovere di salvare vite. E questo è vero a più livelli, se pensiamo anche alle polemiche sorte sulle iniziali condizioni di ospitalità per i superstiti. Così altri soccorritori, altri medici su altri litorali dovranno convivere con i corpi ripescati dall'acqua. Altri superstiti dovranno valutare se fare causa all'Italia, mentre convivono  con sofferenze indicibili. Al ripetersi di simili stragi, è destinato a riprodursi un rimpallo tra istituzioni che sarà dannoso per l'Italia: perché sul piano della responsabilità politica, come visto, l'unico modo per giustificare simili condotte consiste nell'alzare cavillose cortine di fumo, non potendo ammettere a gran voce la disponibilità a violare convenzioni e trattati internazionali. Due giorni fa, del resto, Meloni ha bloccato il decreto Piantedosi, e questo significa che il governo, lontano dalle strategie di propaganda, conosce benissimo le regole del gioco che sta forzando, e quando non riesce a forzarle preferisce arretrare sperando non si noti troppo.

Quello che nessuno riesce a immaginare, però, è il costo umano complessivo al di là delle politiche migratorie. Perché se proprio in occasione di un evento così traumatico e orribile passa il principio che è possibile non solo eludere le responsabilità, ma rovesciarle persino su chi chiede conto di queste - come fatto da Meloni, che ha calato il governo nel ruolo della vittima accusata di fronte ai microfoni - allora la maggioranza trarrà una sola lezione. Ovvero che vale tutto, che potenzialmente la si può fare franca facilmente.

Immagine in anteprima: il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, durante la sua informativa alla Camera dei Deputati

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