- |
È una delle più grandi – se non la più grande – azione legale sul clima del mondo, e l’hanno ufficialmente intrapresa il 27 settembre in un’aula di tribunale, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sei ragazzi portoghesi tra gli 11 e i 24 anni. Questi, facendosi voce dei movimenti ecologisti europei, hanno denunciato 32 Paesi – tutti quelli dell’UE più Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Russia e Turchia –, con l’accusa di non stare facendo abbastanza per ridurre le emissioni nocive, come stabilito dall’Accordo di Parigi. Un’inadempienza che, secondo i ragazzi, starebbe mettendo in grave pericolo il futuro delle generazioni più giovani. Le stesse che, secondo quanto stabilito dalla risoluzione approvata a luglio dello scorso anno dall’Assemblea Generale dell’ONU, hanno il diritto universale a vivere in un ambiente sano, pulito e sostenibile, condizione che – prendendo le parole dello stesso rapporto – è minacciata innanzitutto “dai cambiamenti climatici e dal degrado ambientale”.
Tuttavia, non solo i Paesi starebbero adottando politiche insufficienti e inadeguate ma, stando all’accusa, le conseguenze di tali scelte – o non scelte – starebbero già avendo un impatto significativo sulla vita dei ragazzi. Per esempio a causa delle elevate temperature registrate in Portogallo negli ultimi mesi, molti di loro sono stati costretti, tra le altre cose, a rimanere più tempo in casa. Il cambiamento climatico, inoltre, avrebbe delle ripercussioni anche sulla loro qualità del sonno, sulla capacità di concentrarsi e sul benessere mentale, disturbato da ansia, e fisico, complicato da allergie e patologie respiratorie. Condizioni aggravate soprattutto dai violenti incendi degli ultimi anni, che sono stati in grado di divorare – in Portogallo e nel resto d’Europa – ettari su ettari di terra. È stato proprio dopo le fiamme del 2017 divampate nel distretto di Leira, nell’area centro occidentale del Paese, fatali per 66 persone, che i ragazzi hanno preso la decisione di rivolgersi alla giustizia, dando vita ad un processo che potrebbe rivelarsi, dal punto di vista climatico, uno dei più importanti di sempre. Se infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) di Strasburgo dovesse dare ragione ai denuncianti, i Governi chiamati in causa – così come i loro tribunali – potrebbero dover sottostare a decisioni giuridicamente vincolanti.
Intanto le amministrazioni, interrogate separatamente, respingono l’accusa, dichiarando insufficienti le prove a sostegno della tesi: non esisterebbero, a loro parere, indizi validi che dimostrino che i danni riportati dai ragazzi siano conseguenza diretta del cambiamento climatico o degli incendi portoghesi – e che, anche in caso contrario, non dovrebbe essere la CEDU ad occuparsene. Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, sentita dalla BBC, ha detto che il caso sollevato è «in realtà un allarme per gli Stati membri, per le organizzazioni internazionali, per tutti noi che abbiamo una particolare opportunità di dimostrare che ci teniamo, e che non si tratta solo di parole sulla carta». Manifestazione di cui soprattutto i più giovani avrebbero bisogno.
Secondo uno studio pubblicato nel 2021 sulla rivista scientifica The Lancet, condotto su 10mila persone di età compresa tra 16 e i 25 anni, provenienti da dieci Paesi diversi, è soprattutto l’insoddisfazione per l’inadempienza dei Governi in termini ambientali a creare preoccupazione negli individui più giovani. Tant’è che sono spesso sono loro a intentare cause climatiche in tutto il mondo e, alle volte, a vincerle. Nello Stato del Montana (USA), per esempio, un tribunale ha dato ragione ai 16 ragazzi tra i 5 e i 22 che avevano denunciato lo Stato per aver sostenuto e supportato l’estrazione e l’utilizzo di combustibili fossili. Per sapere invece come andrà a finire la vicenda dei ragazzi portoghesi, bisognerà aspettare tra i nove e i diciotto mesi.
[di Gloria Ferrari]