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- I progetti di Eni legati alla produzione di biocarburanti rientrano nelle attività promosse dal Piano Mattei.
- La multinazionale italiana ha scelto i biofuels per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
- Ma un’indagine di Transport&Environment rivela che tali progetti in Africa sono fallimentari.
L’Eni è una delle più grandi compagnie fossili al mondo e un importante produttore di emissioni di CO2. La multinazionale controllata dallo stato italiano ha posto i biocarburanti al centro della sua strategia per raggiungere il traguardo delle emissioni nette zero di gas serra entro il 2050, puntando ad aumentare di cinque volte la produzione attuale di biocarburanti. Eppure, come rivela un’indagine dell’ong Transport&Environment, gli investimenti di Eni sui biocarburanti in Africa non stanno portando i risultati attesi, sia in termini quantitativi che di impatto sul territorio.
Cosa prevede la strategia di Eni sui biocarburanti
Eni prevede di diventare leader globale nella produzione di “carburanti sostenibili” entro il 2035. Gli oli vegetali sono la base per miscele di tali combustibili che, secondo le stime ufficiali, dovrebbero emettere tra il 60 e il 90 per cento in meno di anidride carbonica rispetto ai combustibili fossili convenzionali.
I biocarburanti hanno ricevuto un impulso alla Cop28, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite tenutasi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, nel dicembre dello scorso anno, dove i Paesi sono stati invitati ad “accelerare” l’uso di “carburanti a zero e a basse emissioni di CO2 ben prima o entro la metà del secolo”. Il governo italiano ha promosso i biocarburanti come soluzione climatica anche prima della Cop28, come dimostra l’opposizione dell’Italia allo stop al motore termico previsto entro il 2035 e i biocarburanti rientrano anche nel piano strategico conosciuto come Piano Mattei, nel quale si prevede di raccogliere dal continente africano la maggior parte della produzione agricola destinata ai biocarburanti.
Eni vuole trasformare l’Africa in un “agrihub”, neologismo che richiama quello usato dal governo Meloni durante la presentazione del Piano Mattei, quando ha definito Italia “hub energetico” nel Mediterraneo: in questo caso, l’idea è quella di rendere il continente un centro dove raccogliere, aggregare, spremere ed esportare gli oli vegetali provenienti da colture non commestibili (ricino, croton e cotone), nonché l’olio da cucina usato da ristoranti e hotel, in carburante e spedirle nelle bioraffinerie italiane di Gela e Venezia.
. Secondo i piani della multinazionale, questi olii sarebbero destinati a sostituire le tradizionali materie prime per biocarburanti, compreso l’olio di palma, su cui Eni ha fatto affidamento in precedenza e che da tempo hanno dimostrato di causare deforestazione e arrecare danni alla biodiversità.
Il “fallimento” di Eni in Africa, secondo Transport&Environment
La strategia sui biocarburanti di Eni punta molto su due paesi africani nello specifico, Kenya e Repubblica del Congo. Eppure, fa notare Transport&Environment, in questi due paesi africani la società fatica a raggiungere i suoi obiettivi di sviluppo industriale: in Kenya, dove sono già operativi due impianti di produzione di olio vegetale, è stato raggiunto solo il 24,5 per cento dell’obiettivo di produzione per il 2023, ovvero meno di un quarto di quanto previsto. Nei piani annunciati dall’azienda, inoltre, già l’anno scorso si sarebbero dovute raggiungere le 20mila tonnellate, mentre per il 2027 si punta a 200mila. Invece, secondo quanto emerge da T&E, le spedizioni partite dal Kenya ammontano a 7.348 tonnellate.
Nella Repubblica del Congo le cose vanno ancora peggio: qui, l’Eni non è andata oltre le fasi pilota e deve ancora sbloccare i fondi per il progetto, probabilmente a causa dei risultati deludenti dei test sperimentali. Dalla Repubblica del Congo, quindi, non è ancora stato spedito nemmeno un grammo di materia prima.
Su tutti spicca il caso del ricino: seppur promosso come una nuova fonte di reddito per i piccoli agricoltori e una coltura resistente alla siccità, la coltivazione di questa pianta è stata in realtà fonte di delusione per molti di loro, proprio a causa della siccità a cui avrebbe dovuto resistere, ma anche per via dei bassi rendimenti e di un insufficiente supporto tecnico-operativo da parte di Eni, come evidenziato dall’ong con interviste sul campo. Nella Repubblica del Congo, invece, gli agricoltori locali sostengono che la terra coltivata è stata espropriata dal governo a favore delle imprese agricole multinazionali con cui Eni collabora.
I biocarburanti soddisfano meno del 2% del fabbisogno italiano
Oltre a ridurre il suo impatto ambientale, Eni punta a produrre biocarburanti per l’aviazione sostenibile (i cosiddetti Saf, Sustainable aviation fuels), un prodotto che la società prevedeva di lanciare già nel 2024. Inoltre, Eni ha recentemente firmato un accordo con il vettore aereo Ryanair per la fornitura di 100mila tonnellate di Saf tra il 2025 e il 2030.
Eppure, i biocarburanti non decollano. E non si tratta di una tendenza recente. Negli ultimi conti di Eni depositati alla Sec, l’organo di vigilanza della Borsa statunitense dove Eni è quotata, c’è scritto che la produzione di biofuel nel 2022 ammonta a 428mila tonnellate, in diminuzione rispetto alle 585mila del 2021. Allargando lo sguardo, inoltre, i carburanti alternativi rappresentano una piccola percentuale del potenziale Eni: nel piano strategico 2023-2026, gli investimenti nei biocarburanti possono contare su 3,4 miliardi di euro contro i 23 destinati al tradizionale oil&gas. Il contributo reale dei biocarburanti, d’altronde, è marginale anche in Italia, in quanto copre solo l’1,7 per cento del fabbisogno nazionale.
Nel complesso, conclude T&E, “l’apparente fallimento di Eni nel raggiungere finora i suoi ambiziosi obiettivi di produzione agricola in Africa mette in discussione la fattibilità della coltivazione di colture per biocarburanti nella scala necessaria per ottenere riduzioni significative delle emissioni nei settori dei trasporti e dell’aviazione”. Insomma, Eni e il Piano Mattei devono battere altre strade, se si vuole che la transizione energetica e la cooperazione Italia-Africa non rimangano parole buttate al vento. Ma soprattutto “è nella condivisione della prosperità, nell’uguaglianza nella prosperità” che è racchiuso il successo delle politiche di cooperazione, per usare le parole di Moussa Faki, presidente della Commissione dell’Unione Africana, pronunciate durante la presentazione del Piano Mattei da parte del governo Meloni. Piano che, come ha ricordato Faki, non ha coinvolto le istituzioni africane.