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Sono oltre 40 le città che hanno aderito alle mobilitazioni nazionali organizzate da una fitta rete di associazioni, che insieme ad attivisti, cittadine e cittadini si oppongono alla revisione del Codice della strada proposta dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit), in discussione in questi giorni in parlamento. Una riforma ribattezzata senza mezzi termini “Codice della strage“, per la superficialità con cui affronta il tema della sicurezza, con misure che non puntano sulla prevenzione e soprattutto non intervengono su quelle che – numeri e studi alla mano – sono le principali cause delle collisioni mortali.
Come ribadiscono gli esperti, questa normativa ignora un approccio scientifico e sistemico, per cui ci farà fare un balzo indietro nel tempo, andando ad aggravare la drammatica situazione del nostro Paese, quello con il più alto numero di vittime in Europa. Ogni tre ore, infatti, in Italia una persona perde la vita sulla strada. A ragion veduta si usa il termine “strage” per denunciare quella che di fatto è l’uccisione violenta di una moltitudine di persone che passa sotto silenzio e che non verrà fermata da questa normativa. Le mobilitazioni in arrivo ci portano a riflettere sulla responsabilità politica, collettiva e individuale di queste morti e a fare i conti con un fattore non trascurabile: la velocità, irrinunciabile requisito dei nostri spostamenti che, più o meno consapevolmente, ci sta portando fuori rotta
Contro la revisione del Codice della Strada: flash mob, presidi e mail bombing
Flash mob, presìdi statici, ciclabili umane e altri eventi sono organizzati dal 9 al 12 marzo, per denunciare quelle che sono definite “misure vetrina” proposte dal Mit. A Roma nella mattina di domenica 10 marzo, in Piazza Sant’Apostoli, i partecipanti indosseranno tute bianche macchiate di rosso e maschere senza volto per rappresentare la violenza subìta dalle vittime della strada.
A Torino martedì 12 marzo tra le 7.30 e le 10.30 (l’orario dei pendolari), nei pressi della Stazione Porta Nuova è previsto un die-in lungo le strisce di un attraversamento pedonale, durante i tempi verdi del semaforo pedonale, per cui i partecipanti si posizioneranno lungo le strade.
Gesti simbolici che puntano a dare una rappresentazione visiva del problema, agendo nello spazio pubblico e coinvolgendo i passanti, per offrire uno sguardo diverso, più consapevole, su scenari drammaticamente possibili. Il tentativo di dare corpo ai numeri delle vittime avviene anche grazie a installazioni di oggetti (caschetti, scarpe, le bici straiate a terra) che vogliono risvegliare le coscienze e dare conto della “dimensione” del problema, con un messaggio rivolto non solo al governo ma alla cittadinanza.
In molti comuni l’attenzione viene portata su punti sensibili. Per esempio a Firenze sabato 9 marzo alle 11.00 un flash mob in Piazza Alberti agevolerà il passaggio di pedoni e ciclisti proteggendo gli attraversamenti pedonali e ciclabili, con la misurazione della velocità dei veicoli in arrivo dal cavalcavia per evidenziare il sistematico mancato rispetto dei limiti di velocità. A Bologna invece si creerà una catena umana per difendere la corsia ciclabile di via Saragozza dalla sosta selvaggia delle auto. Tante le città in cui i flash mob o le pedalate si concluderanno davanti alle prefetture, come per esempio a Milano.
La chiamata all’azione è anche digitale. Da un paio di giorni è in corso un mail bombing (oltre 6.000 mail inviate fino a venerdì 8 marzo) rivolto ai parlamentari che saranno chiamati a votare la riforma. «Qualora fossi la prossima vittima stradale innocente causata dal Nuovo Codice, la responsabilità politica della stessa ricadrebbe anche su chi – tra voi – voterà a favore o comunque non farà nulla per fermare il Nuovo Codice della Strage. Siete ancora in tempo per fermare questa revisione del Codice, siete ancora in tempo per salvarmi la vita», sono le parole che troviamo nel messaggio mandato via mail.
La richiesta: sicurezza delle persone e città più vivibili
La richiesta delle mobilitazioni è una: sicurezza delle persone e città più vivibili al primo posto.
I numeri parlano chiaro e descrivono una situazione grave. Sono infatti 3.159 le persone morte in collisioni sulle strade nel 2022, con un aumento del 9 per cento rispetto al 2021 e solo una leggera diminuzione rispetto al 2019. 223.475 sono stati i feriti e l’assenza di sicurezza stradale è la prima causa di morte per le e i giovani sotto i trent’anni. Una situazione, quella italiana, che è un’anomalia in Europa: se in Gran Bretagna i morti in strada per milione di abitanti sono 26, in Germania 34, in Spagna 36, in Italia siamo a 53 (Fonte: Commissione Europea 2022).
In particolare l’attenzione viene portata sui contesti urbani, dove avviene il 73 per cento delle collisioni. Sono dunque le città i luoghi su cui bisogna intervenire in maniera prioritaria, agevolando l’applicazione del modello Città 30, tanto osteggiato dal Ministro Salvini.
Revisione del Codice della strada: le criticità
In un’analisi approfondita curata da Andrea Colombo (esperto di mobilità sostenibile e sicurezza stradale, ex assessore alla mobilità di Bologna, tra i firmatari della proposta di legge nazionale sulle Città 30) vengono chiaramente messe in evidenza le criticità.
Infatti le misure indicate vanno a limitare pesantemente l’autonomia di azione delle amministrazioni comunali, attaccano e depotenziano ZTL, aree pedonali, sosta regolamentata, controlli elettronici e mobilità ciclistica, allontanando l’Italia dagli obiettivi del Piano sicurezza stradale 2030, firmato nel 2022 dal Mit.
Se da un lato vengono inasprite alcune pene come quelle per chi guida “ubriaco” o “drogato” (un approccio repressivo in stile mediatico, incentrato sulle cause del solo 5% di incidenti ), dall’altro si agevola chi vìola sistematicamente le regole, per esempio imponendo una sola multa per chi vìola le aree pedonali anche più volte al giorno.
Ciò che preoccupa, inoltre, è la mancanza di tutela per chi è più vulnerabile (ovvero pedoni, ciclisti, bambini, anziani, persone con disabilità), mentre vengono fortemente limitate la mobilità attiva e sostenibile e il potenziamento del trasporto pubblico.
L’appello dei familiari delle vittime di violenza stradale
Manca quindi un intervento deciso sulla moderazione della velocità, che ricordiamo è la prima causa di morte insieme alla guida distratta e alla mancata precedenza ai pedoni sugli attraversamenti.
Un appello importante è stato lanciato al governo, al parlamento e ai comuni da centinaia di tecnici (urbanisti, architetti, ingegneri, avvocati, esperti di politiche pubbliche, etc) sottoscritto anche da 17 associazioni e fondazioni di familiari delle vittime di violenza stradale. Sono proprio queste ultime a ricordare che «secondo il codice della strada i limiti di velocità vanno stabiliti in base a un unico criterio: “per la tutela della vita umana” (art. 142, comma 1) che, essendo il bene più prezioso, viene prima di ogni altro interesse».
Dobbiamo quindi interrogarci sui valori e le priorità espresse dalla proposta del Mit, facendo tesoro di queste testimonianze. Chi si batte in prima linea da anni in Italia e in Europa per la sicurezza stradale, lo fa come “forma di memoria attiva per le persone care che non ci sono più e come impegno civile per l’intera collettività”.
Il Mit e gli spot senza cinture di sicurezza
Durante il dibattito sulla riforma del Codice della strada, il Mit ha lanciato tre spot sulla sicurezza stradale rivolti in particolare ai giovani, in cui si vogliono mostrare i comportamenti da tenere alla guida e quelli invece pericolosi. La campagna è stata realizzata tra l’altro in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri. Piccolo dettaglio: nessuno dei protagonisti indossa la cintura di sicurezza (neanche nella versione relativa alla buone regole da seguire). Uno scivolone grottesco che ha destato polemiche, preoccupazione e una buona dose di sconforto.