https://www.valigiablu.it/missione-libia-2022/
- |
Aggiornamento 2 novembre 2022: Il dietrofront alla fine non c’è stato. Da oggi, mercoledì 2 novembre, si rinnova per altri tre anni il Memorandum di intesa sulla migrazione tra Italia e Libia. Siglato il 2 febbraio del 2017, sotto il governo Gentiloni, l’articolo 8 prevede che il Memorandum abbia validità triennale e sia tacitamente rinnovato alla scadenza per un periodo equivalente, «salvo notifica per iscritto di una delle due parti contraenti, almeno tre mesi prima della scadenza del periodo di validità (il 2 novembre di quest’anno, ndr)». L’esecutivo Draghi prima e ora quello Meloni non hanno chiesto di rivedere l’intesa. Di qui il rinnovo automatico.
Nel Memorandum d'Intesa del 2017 si afferma che l’Italia si impegna a finanziare i centri di accoglienza in Libia e la formazione del personale libico. Ma come ricostruisce Open Migration “tali 'centri di accoglienza' sono centri di detenzione, in cui donne e uomini migranti vengono sistematicamente e arbitrariamente rinchiusi e il 'personale libico' è costituito da milizie i cui metodi si basano su torture, stupri e ogni altra sorta di abuso. […] Quello che viene definito 'personale libico', oltre ai crimini sopra menzionati, si è reso artefice anche di traffico di esseri umani”.
Il 27 luglio con il voto delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera è terminato l'esame parlamentare della delibera del Consiglio dei Ministri relativa all'autorizzazione e proroga delle missioni internazionali. Tra quelle rinnovate la più controversa rimane la missione italiana in Libia e in particolare la cooperazione con la cosiddetta Guardia costiera libica, accusata di gravissime violazioni dei diritti umani.
Due settimane fa i deputati del Partito Democratico, Italia Viva e Movimento 5 Stelle non hanno votato la scheda 47 che riguarda la “Missione bilaterale di assistenza alle Istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi”.
In tre hanno votato no: il capogruppo di Leu Federico Fornaro e i deputati del PD Laura Boldrini ed Erasmo Palazzotto. Secondo quanto dichiarato da Palazzotto “Si tratta di un segnale forte perché il Partito Democratico si è di fatto dissociato dall’assumere impegni con la Libia, un paese da anni nel caos che non rispetta i diritti dei migranti con gravi violazioni documentate dalle tante organizzazioni che operano nel Mediterraneo”. Per l'ex deputato di Leu, passato al PD pochi mesi fa, è “un primo passo importante che mira a scardinare il modello disumano di esternalizzazione delle frontiere con delega a paesi in cui sono quotidiane le violazioni dei più fondamentali diritti umani”.
Alcuni giornalisti, attivisti e politici hanno però messo in dubbio la presunta “svolta” del Partito Democratico sulla Libia. “Le forze politiche maggiori hanno impedito il passaggio in Aula, per evitare che emergessero voci critiche non omologate e sgradite”, denuncia il senatore Gregorio De Falco. “Nel chiuso delle Commissioni del Senato, l'approvazione votata martedì è stata unanime e molto formale e tutto si è concluso in un quarto d'ora. Alla Camera un paio di deputati del Pd hanno votato contro la (sola) scheda 47, quella che prevede fondi per l'addestramento della cosiddetta Guardia costiera libica. Si tratta, purtroppo, di vero fumo negli occhi, giacché, come ha ammesso il ministro della Difesa, quell'addestramento è effettuato dai turchi fin dalla fine del 2020”, riferisce De Falco.
Il senatore segnala infine che "il Pd ha votato per fornire ai libici pezzi di ricambio e le spese di manutenzione per le motovedette che l'Italia ha loro fornito per catturare i migranti in fuga via mare dall'Inferno libico […] Non mi rallegro affatto, quindi, per quello che è uno dei giorni più bui e vergognosi nella storia recente della Repubblica Italiana”.
Anche le mobilitazioni della società civile contro gli accordi con la Libia sono entrate in collisione con le posizioni del Partito Democratico. L'ultima un anno fa quando il segretario Enrico Letta propose di affidare all'Unione Europea gli accordi con la Guardia costiera libica.
Per il ricercatore di Amnesty International su migrazione e asilo, Matteo de Bellis, la proposta del segretario dem fa pensare al “nascondere la mano dopo aver tirato la pietra. Per quanto riguarda Amnesty e tanta parte della società civile gli interventi effettuati in Libia sono dannosi e questo tipo di soluzione non ha molto senso: se una cosa è sbagliata non si fa, non si fa fare ad altri”. de Bellis ricorda inoltre che “quest'anno il parlamento italiano aveva previsto di impegnare il governo a fare una verifica a tutto campo rispetto all'opportunità della strategia italiana in Libia. Ma su questo tema si è scelto di discutere qualche dettaglio, mantenendo però completamente in piedi l'approccio così come era stato disegnato in passato e ciò è insufficiente”.
La volontà turca di “espandere la propria influenza” nell’area nordafricana, anche con importanti intese militari, ha di fatto messo l’Italia in una posizione subalterna. Ma la perdita del rapporto privilegiato con Tripoli non ha impedito al nostro paese di continuare a “equipaggiare le ‘autorità libiche’ attraverso forniture milionarie pur di scongiurare l’accesso alla protezione di migliaia di persone in fuga”.
Un radicale cambio della strategia italiana nel paese nordafricano a questo punto sarebbe molto difficile anche alla luce dell'egemonia turca. “Negli ultimi due anni i rapporti tra autorità italiane e libiche si sono raffreddati”, conferma de Bellis. “Ankara ha preso in mano alcuni aspetti degli interventi effettuati in Libia, sottraendo all'Italia la capacità di occuparsi dell'addestramento e della formazione delle forze libiche, dalla guardia costiera alla marina. Per questo motivo fa sorridere amaramente il dibattito sulla riduzione dell'addestramento delle autorità libiche da parte italiana, poiché questa è la situazione che abbiamo già davanti agli occhi da molti mesi”.
Come spiega invece a Valigia Blu la dottoressa Claudia Lodesani, responsabile delle operazioni di Medici Senza Frontiere in Libia: “Sarebbe davvero fondamentale che l’Italia si impegnasse a cancellare ogni sostegno alla guardia costiera libica e alle autorità marittime impegnate nelle attività di intercettazione e respingimento in Libia di persone che tentano di prendere il mare per raggiungere un luogo sicuro. Si tratta di un sostegno che avviene malgrado le reiterate prove di gravi violazione dei diritti umani. Dal 2017, anno della firma da parte del governo italiano del Memorandum con la Libia assistiamo all’intervento della Guardia costiera libica, finanziata e formata con risorse italiane e dell’UE, che opera respingimenti. Ad oggi sono oltre 80mila le persone ricondotte nei centri di detenzione ufficiali e, soprattutto, in quelli non gestiti dal governo libico ma direttamente dalle milizie. Solo nei primi 6 mesi del 2022 si sono registrati oltre 9.000 respingimenti violenti che riportano le persone in detenzione illegale nei centri di Zawiya”, dice Lodesani.
Ma la volontà politica di impedire ad ogni costo l'arrivo sulle coste europee di migranti e richiedenti asilo spinge ancora oggi l'Italia e l'Unione Europea a voltarsi dall'altra parte quando si parla di violazioni dei diritti umani, come dimostrano vari report. Un altro dossier redatto dagli investigatori delle Nazioni Unite rivela “l'esistenza non di una ma di almeno quattro 'guardie costiere', ciascuna legata a un diverso ministero e a differenti padrini, in lotta armata tra loro”. Una situazione che rende ancora più difficile “individuare le agenzie marittime libiche che hanno messo i migranti e i richiedenti asilo a rischio reale di gravi violazioni dei diritti umani”.
“La situazione di migranti e rifugiati in Libia dentro e fuori i centri di detenzione è ben nota e documentata da organizzazioni internazionali e rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite”, ribadisce Lodesani. “Costante è l’esposizione al rischio di detenzione arbitraria, torture, trattamenti inumani e degradanti, uccisioni, lavori forzati, violenze sessuali, sfruttamento, diniego di cure mediche essenziali, tratta e rapimenti. In alcuni dei centri visitati dai team di Medici Senza Frontiere, si vive in celle anguste e buie in condizioni di sovraffollamento (più di 3 persone per metro quadrato), senza finestre e luce naturale, in scarsissime condizioni igieniche. Scarso è anche l’accesso all’acqua e al cibo. Frequenti sono le cure somministrate da MSF per violenze e maltrattamenti, esiti di pestaggio, incluse fratture, ferite da taglio, abrasioni e traumi da corpo contundente. E non è migliore la situazione per la stragrande maggioranza di rifugiati e migranti che vive fuori dai centri di detenzione, continuamente soggetta al rischio di arresti di massa, rapimenti, tratta, sfruttamento, schiavitù e violenze di ogni tipo per mano delle milizie. In queste condizioni risulta evidente che la mancanza di uno status giuridico, e la conseguente assenza di protezione e assistenza, espongono migranti e rifugiati presenti in Libia a una spirale di violenza e abusi da cui è difficile sottrarsi e affrancarsi. Non possono restare nel paese che per loro non è sicuro e allora tentano la traversata. Ma quando sono intercettati dalla Guardia Costiera finanziata anche dal nostro governo, vengono ricondotti nei centri di detenzione o rilasciati nella comunità, dove sono esposti a violenze e soprusi. Per chi riesce a fuggire, il mare, con la sua incognita, rimane l’unica via per trovare un luogo sicuro”, conclude.
Nel Memorandum d'Intesa del 2017 si afferma che l’Italia si impegna a finanziare i centri di accoglienza in Libia e la formazione del personale libico. Ma come ricostruisce Open Migration “tali 'centri di accoglienza' sono centri di detenzione, in cui donne e uomini migranti vengono sistematicamente e arbitrariamente rinchiusi e il 'personale libico' è costituito da milizie i cui metodi si basano su torture, stupri e ogni altra sorta di abuso. […] Quello che viene definito 'personale libico', oltre ai crimini sopra menzionati, si è reso artefice anche di traffico di esseri umani”.
Il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia scadrà nel febbraio 2023, ma sarà rinnovato automaticamente per altri tre anni se le autorità italiane non lo annulleranno entro il 2 novembre 2022, poche settimane dopo la prima riunione delle nuove Camere fissata per il 13 ottobre.
Il Tavolo Asilo e Immigrazione, dopo che le Commissioni congiunte Esteri e Difesa hanno votato il decreto missioni rinnovando il supporto ai cosiddetti guardacoste libici, ha diramato un comunicato per denunciare questa “scelta grave” e lanciare una mobilitazione per scongiurare il rinnovo del Memorandum:
“Ad oggi, tra gennaio e luglio 2022, hanno perso la vita nel Mediterraneo 180 migranti e 648 risultano dispersi, mentre i migranti intercettati e riportati in Libia risultano essere 11.057, tra cui 422 minori. Autorevoli organismi internazionali delle Nazioni Unite e dell’Europa hanno più volte confermato quello che è visibile a tutti: in Libia vengono commessi crimini contro l’umanità, e il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica e alle autorità riconosciute dalla comunità internazionale incrementa tali crimini, oltre ad alimentare il conflitto interno e allontanare il processo di pace. Il Parlamento italiano ha perso l’ennesima occasione per cancellare la vergogna di torture, stupri, violenza diffusa perpetrati con risorse italiane ed europee, in nome nostro. […] A partire da settembre, il Tavolo Asilo e Immigrazione promuoverà una mobilitazione, per richiamare l’attenzione delle forze politiche sulla necessità di abolire il Memorandum Italia-Libia e quindi di intervenire prima del prossimo 2 novembre, per impedire che si continuino a sostenere le violenze contro chi, dalla Libia, cerca solo di partire e mettersi in salvo da condizioni di povertà o repressione”.
Immagine in anteprima: Motovedetta della guardia costiera libica in azione – frame video Sea Watch via Twitter