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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
Dai pannelli fotovoltaici alle turbine eoliche fino alle batterie elettriche: la transizione ecologica passa dalle materie prime critiche, note anche con l’acronimo inglese CRM (Critical Raw Materials). Metalli noti come il litio e il cobalto, minerali meno noti ma altrettanto importanti come la bauxite o le terre rare, le materie prime critiche sono definite tali proprio per la loro importanza economica e per il rischio di forniture associato a esse. Come scrive la Commissione Europea, “l'accesso affidabile e senza ostacoli a determinate materie prime è una preoccupazione crescente all'interno dell'Unione europea e in tutto il mondo. Per affrontare questa sfida, la Commissione europea ha creato un elenco di materie prime critiche (CRM) per l'UE, che è soggetto a regolare revisione e aggiornamento”. A partire dal 2011, ogni tre anni viene stilata e aggiornata la lista di CRM a livello europeo, in base alle contingenze di approvvigionamento e di rilevanza economica. Nella lista più recente, relativa al 2020, le materie prime critiche individuate sono 30.
La maggior parte delle materie prime critiche è importata (con punte del 90% per quanto riguarda il litio e il cobalto) ed è prodotta in pochi paesi, in tanti casi instabili dal punto di vista geopolitico, che ne determinano il mercato a livello globale.
A livello più ampio il mercato delle materie prime critiche oggi è dominato da un singolo paese, la Cina, che controlla quasi tutta la filiera, dall’estrazione all’assemblaggio fino alla commercializzazione. Come ricorda un recente report di Cassa Depositi e Prestiti, “in uno scenario coerente con la neutralità climatica, la Commissione europea stima che al 2050 la domanda annua di litio da parte dell’Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, quella di cobalto di 15, per le terre rare decuplicherebbe”.
Ecco perché c’è molta attesa per la legge europea sulle materie prime critiche, con la proposta della Commissione attesa per il 14 marzo. Con essa l’istituzione europea punta “a rafforzare le capacità di monitoraggio dell’UE e a potenziarne sia la catena del valore, attraverso l’individuazione nel campo delle risorse minerarie e delle materie prime di progetti che presentino un interesse strategico per l’UE e prevedano una forte tutela dell’ambiente, sia le politiche estere sulle materie prime critiche”.
All’orizzonte, dunque, si profila una nuova stagione di estrazioni minerarie in tutto il Vecchio Continente. In una recente anticipazione del prossimo European Critical Raw Materials Act, il commissario Thierry Breton ha annunciato la costituzione di una rete delle agenzie specializzate dei diversi Stati membri e l’accelerazione dei tempi di autorizzazione per la ricerca e l’estrazione, in modo da rafforzare gli interessi privati che fino a questo momento si sono concentrati su altre parti del globo.
Allo stesso modo l’Unione Europea da tempo ribadisce la necessità di un rafforzamento dell’economia circolare. Anche se, come riconosce la stessa Commissione, “per quanto riguarda il riciclaggio e il riutilizzo, gli Stati membri interpretano attualmente le disposizioni relative ai flussi di rifiuti in modo diverso, determinando un'attuazione frammentata della legislazione dell'UE e creando ostacoli alla libera circolazione. Modifiche mirate e armonizzazione della legislazione esistente, in particolare sui rifiuti, promuoverebbero il riciclaggio di qualità delle materie prime strategiche e un mercato efficiente per le materie prime secondarie, in linea con i nostri obiettivi di economia circolare”.
In questo quadro generale diventa ancora più utile definire la posizione italiana. Soprattutto perché dal punto di vista ambientale il governo Meloni, come ha dimostrato la vicenda del rinvio del regolamento europeo che prevede lo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035, l’Italia pretende di dettare la linea all’Europa. Vale anche per le materie prime critiche?
Un’autonomia solo annunciata
Proprio dall’auto si può ripartire per comprendere il posizionamento dell’esecutivo. Lo scorso 23 febbraio, rispondendo a un’interrogazione parlamentare sulle “prospettive della filiera industriale dei veicoli a motore alla luce delle recenti normative europee”, il ministro alle Imprese e al Made in Italy ha usato parole perentorie. Partendo da:
Una visione di politica industriale italiana ed europea che purtroppo negli anni è mancata. Noi abbiamo intenzione innanzitutto di mettere in campo una visione pragmatica e concreta della realtà, anche e soprattutto alla luce dei grandi avvenimenti di questi anni (...) Per evitare che si passi dalla dipendenza energetica dalla Russia alla dipendenza tecnologica dalla Cina, quindi dalla padella alla brace (...) Noi intendiamo avere un rapporto forte e significativo con la Commissione europea affinché la Commissione capisca che deve coniugare le esigenze della transizione ecologica, che tutti condividiamo negli obiettivi, alle modalità e alle tempistiche con cui davvero le imprese e il sistema sociale italiano ed europeo possano riconvertirsi e diventare competitivi (...) Se questa Commissione non accoglierà le nostre ragioni io penso che i dossier passeranno alla prossima Commissione, quella che nascerà nel 2024, in un clima del tutto diverso (...) Noi non possiamo soggiacere a quelle visioni imperiali che si manifestano anche attraverso la tecnologia e l’accaparramento di materie prime critiche. Abbiamo aperto un tavolo al ministero sulle materie prime critiche perché riteniamo che dall’estrazione alla lavorazione l’Italia debba puntare all’autonomia.
Al di là dei toni, una maggiore autonomia sul campo delle materie prime critiche è certamente auspicabile. Il punto di partenza di questo cammino, vale a dire il tavolo citato dal ministro Urso, è però finora claudicante. È il gennaio 2021 quando l’allora ministero dello Sviluppo Economico, oggi ministero delle Imprese e del Made in Italy, e il ministero della Transizione Ecologica, oggi ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, annunciano la nascita di un tavolo tecnico interministeriale sulle materie prime critiche. “Con l’obiettivo di:
- Rafforzare il coordinamento sul tema;
- Potenziarne la progettualità in termini di sostenibilità degli approvvigionamenti e di circolarità:
- Contribuire alla creazione delle condizioni normative, economiche e di mercato volte ad assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile delle materie prime critiche.
Oltre a promuovere l’adesione all’ERMA (European Raw Materials Alliance), il ministero presidia i tavoli europei e gli incontri sul tema e partecipa ai workshop, webinar e seminari utili a divulgare e comunicare le informazioni sul tema”. Ci vogliono però più di un anno e mezzo affinché arrivi il decreto interministeriale per la costituzione del tavolo, e altri sei mesi affinché venga definita la composizione del tavolo, attivato ufficialmente il 17 febbraio scorso.
In un’intervista risalente all’1 marzo, i molti verbi al condizionale usati da Giacomo Vigna, responsabile al tavolo per il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, danno l’idea di una strategia ancora da definire:
Ora siamo in fase di studio per capire quali materie siano strategiche per l’Italia e quando, da qui ai prossimi vent’anni, possiamo aspettarci un disequilibrio (a livello di prezzo o di insufficienza di offerta) che ci possa mettere in difficoltà. Dopodiché, i pilastri della nostra azione sono tre. Anzitutto serve estrarre le materie in casa, o perlomeno in Paesi like-minded, e recuperare la capacità di processarli. Secondo, dobbiamo progettare soluzioni che non abbiano bisogno di materie critiche o che possano avvalersi di quelle riciclate. Infine dobbiamo dedicarci al recupero dei rifiuti, specie le cosiddette urban mines (i metalli preziosi contenuti nei rifiuti elettronici, ndr). L’ecodesign diminuirà la domanda e il Joint Research Centre di Ispra stima che il materiale recuperato dalle urban mines potrà coprire fino al 30% della domanda complessiva.
Intanto il governo francese, attraverso il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, ha proposto al governo italiano di partecipare a un fondo comune di investimento pubblico-privato, con una base da 500 milioni di euro e l’obiettivo di arrivare a un miliardo di euro, destinato proprio alle materie prime critiche. Su cui, però, l’Italia è nettamente più indietro rispetto alla Francia, che già ora è uno dei principali produttori di CRM.
In quest’ottica è più significativo il recente studio di Cassa Depositi e Prestiti, già citato in precedenza, nel quale il mito dell’autonomia estrattiva viene in parte smontato:
Anche in Italia sono presenti giacimenti di materie prime critiche, la cui localizzazione, tuttavia, risulta sommaria risalendo l’ultimo aggiornamento della Carta Mineraria al 1973. Ad oggi, diversi permessi di ricerca sono attivi: nell’arco alpino (Piemonte e Lombardia) per il ritrovamento di cobalto, metalli del gruppo platino e terre rare; nella fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) e in quella della catena appenninica (da Alessandria fino a Pescara) per il ritrovamento di litio geotermico. Tuttavia, visti i lunghi tempi di attivazione dell’attività mineraria (almeno 10-15 anni per la commercializzazione delle prime terre rare dal giacimento in Svezia), nel breve periodo il contributo delle risorse nazionali potenziali alla riduzione della dipendenza estera è da ritenersi modesto.
Attesa per febbraio, la Carta Mineraria - che sarà elaborata da Ispra - conterrà in un primo momento la localizzazione e tutti i dati dei giacimenti minerari noti dal 1870 al 2020: si tratta di 3.016 siti, prevalentemente zolfo, lignite e minerali metalliferi. Soltanto in un secondo momento, previsto per il prossimo anno, la nuova Carta Mineraria potrebbe includere anche gli esiti delle ricerche già condotte da università ed enti di ricerca e quelli di nuove campagne di rilevamento e analisi, dedicate esplicitamente alla ricerca delle più ambite materie prime critiche, come il litio e le terre rare.
Affinità e divergenze tra Ispra ed ENEA
A questo punto diventa utile allora recuperare il punto di vista dei due enti pubblici nazionali che si occupano di ambiente e sostenibilità, vale a dire l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (Ispra) e l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Sulle materie prime critiche le posizioni di Ispra ed Enea in parte divergono: la prima punta maggiormente sull’estrazione, la seconda sul riciclo.
La posizione di Ispra è esplicitata nella consultazione pubblica dell’European Critical Raw Materials Act. A redigere il documento è il Dipartimento per il Servizio Geologico d'Italia: si parla a più riprese di “approvvigionamento sostenibile delle risorse minerarie”, una sostenibilità che dovrà essere “sia ambientale che sociale”, e si elencano 13 punti che l’atto europeo dovrebbe incentivare per favorire le strategia nazionali. In particolare:
Nonostante la sua importante storia mineraria, oggi l'Italia è in una posizione di retroguardia nell'esplorazione mineraria e nella corsa internazionale all'accaparramento delle risorse minerarie. Per molti minerali l'Italia è fortemente o, come per i metalli, totalmente dipendente dai mercati esteri. La crisi energetica, la pandemia e l'invasione russa hanno dimostrato che è fondamentale diversificare la filiera delle materie prime utilizzando anche le risorse interne. La ricerca e lo sfruttamento dei minerali metallici in Italia è stata abbandonata alla fine del secolo scorso a seguito di scelte politico-economiche inopportune. Ciò ha causato il declino dell’istruzione universitaria e la perdita di conoscenza, formazione e apprendimento permanente dei professionisti dell’industria mineraria. La comunità scientifica concorda sul fatto che è possibile che in Italia esistano ancora significative risorse minerarie, comprese le materie prime critiche, e che sia possibile un’estrazione sostenibile. D’altra parte, le industrie estrattive dismesse hanno generato enormi quantità di rifiuti estrattivi derivanti da estrazione, lavorazione, trattamento, perforazione ecc. I rifiuti possono rappresentare un potenziale nuovo deposito di risorse critiche e non critiche, che potrebbero essere riutilizzate in un’ottica di economia circolare. Nel distretto minerario sardo, il più importante in Italia, sono presenti circa 70 milioni di metri cubi di rifiuti estrattivi, con un conseguente elevato impatto ambientale. In questo momento l’Italia sta cercando di studiare e rivalutare il proprio potenziale minerario attraverso il lavoro congiunto di accademici, ricercatori, amministratori pubblici e professionisti minerari, ponendo, allo stesso tempo, le condizioni per la creazione di una nuova generazione di esperti minerari.
Invece di invocare un ritorno in chiave sostenibile del passato minerario, ENEA suggerisce di rafforzare le potenzialità e le filiere già esistenti:
Le città sono vere e proprie miniere urbane, riserve di materie prime a cielo aperto che possono e devono essere valorizzate a beneficio del territorio, con creazione di valore in termini di materia prima disponibile sul territorio e anche di nuove opportunità di business ed occupazione. (...) Per contro, tutta questa grande potenzialità non viene valorizzata come dovrebbe essere, in generale in tutto il mondo, in particolare in Europa e in Italia. Infatti, l’Italia è sicuramente campione del riciclo, ma limitatamente ai prodotti monomateriali, mentre con i prodotti complessi che contengono le materie prime critiche c’è ancora molta strada da fare. La capacità di riciclaggio in Europa in generale su alcune materie prime critiche è molto molto bassa, al di sotto dell'1%. Per migliorare queste percentuali di riciclo occorre sicuramente un’azione di sistema, a partire dalla mappatura di tutte le potenziali fonti secondarie e dalla pianificazione nella realizzazione di impianti che siano finalizzati a produrre queste materie prime critiche. Bisogna passare dal concetto degli impianti di riciclo come impianti di gestione dei rifiuti, al concetto di impianti di produzione di materie prime utili per il nostro territorio, per il nostro sistema produttivo. Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata al design dei prodotti, finalizzato ad un disassemblaggio semplice, alla facile riciclabilità, all'allungamento di vita dei prodotti stessi, con sistemi di tracciabilità delle materie prime critiche nei prodotti complessi. Si dovrebbe inoltre investire nell’innovazione finalizzata alla sostituzione, laddove possibile, delle materie prime critiche e promuovere poi la responsabilità estesa dei produttori. Occorre inoltre promuovere modelli di consumo innovativi ed incentivare il corretto smaltimento da parte dei consumatori degli oggetti, per esempio delle apparecchiature elettroniche in filiere tracciabili. Bisogna infine investire nella realizzazione di impianti innovativi a basso impatto ambientale e ridotto consumo energetico, in grado di massimizzare il recupero selettivo delle materie prime critiche da prodotti complessi a fine vita (ad esempio mediante tecnologie idrometallurgiche).
Pur essendo legati dal richiamo all’economia circolare e dal desiderio di una maggiore autonomia, i due approcci di Ispra ed ENEA appaiono differenti, con una diversa visione del mondo, potremmo dire. Non sono punti di vista antitetici, sia chiaro, anzi quel che è evidente è che per entrambi gli enti pubblici la sola ripresa delle estrazioni non può bastare. La transizione ecologica costituisce un tema troppo complesso e importante per ridurlo a una nuova e sfrenata corsa all'approvvigionamento di materie prime critiche. Se vogliamo che la transizione ecologica diventi concreta, bisognerà aver appreso la lezione delle fonti fossili: non più lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, nell’ottica antropocentrica e inseguendo il mito della crescita infinita, ma una sostenibilità reale che provi, quando possibile, a lasciare sottoterra quel che la natura ha messo lì.
Immagine in anteprima via startmag.it