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Il decreto Cutro, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 9 marzo, tra le altre cose, ha disposto una stretta sui permessi speciali per gli immigrati. Siccome alcuni commenti, politici e non, paiono un po’ confusi, può essere utile un chiarimento, mostrando la direzione nella quale sta andando la maggioranza di governo.
Dal decreto Sicurezza al decreto Cutro
Il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale è previsto nei casi in cui al cittadino straniero richiedente asilo non sia riconosciuto né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, ma ricorrano le condizioni di cui al TUI: in particolare, qualora lo straniero, se rimpatriato, possa essere oggetto di persecuzione oppure rischi di essere sottoposto a tortura, trattamenti inumani o degradanti, violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Fino al decreto Cutro, era precluso il rimpatrio anche dello straniero che nel paese di provenienza avrebbe potuto subire una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, valutato in base ai suoi vincoli familiari e ia suo inserimento sociale in Italia. Il decreto ha eliminato quest’ultima previsione.
Il primo decreto Sicurezza di Matteo Salvini (d.l. n. 113/2018) aveva abrogato il permesso per motivi umanitari, introducendo al suo posto un permesso per protezione speciale in alcuni specifici casi, intervenendo sul Testo Unico Immigrazione (d. lgs. n. 286/1998, TUI). Tali casi sono stati poi ampliati durante il governo Conte II, segnando una parziale retromarcia (d.l. n. 130/2020).
Grazie all’intervento del Quirinale, una norma mitiga transitoriamente l’impatto di quest’eliminazione.
Il disegno di legge sull’eliminazione della protezione speciale
Il decreto Cutro è solo un tassello della stretta che la maggioranza di governo vuole apportare ai titoli di permanenza legale in Italia degli stranieri. Nello stesso giorno in cui veniva approvato il decreto, sono stati incardinati presso la commissione Affari costituzionali di Montecitorio due disegni di legge (ddl, C. 127 e C. 162) in materia di permesso di soggiorno.
Il secondo ddl sopprime una serie di tutele per lo straniero, segnando un ritorno al decreto Sicurezza I: tra le altre cose, viene eliminata la previsione di un permesso per protezione speciale, nei casi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti previsti per le categorie vulnerabili; tra i motivi per i quali non si può disporre il rimpatrio scompaiono la persecuzione per l’orientamento sessuale e l’identità di genere; viene meno il divieto di rimpatrio qualora si violi il diritto al rispetto della vita privata e familiare (ipotesi già eliminata dal decreto Cutro); si restringono le ipotesi in cui può essere concesso un permesso per motivi di salute.
Inoltre, è soppressa la clausola che, in caso procedura di espulsione e respingimento, tutelava lo straniero attraverso il richiamo agli «obblighi costituzionali o internazionali dello Stato». Questo richiamo era stato eliminato dal primo decreto Sicurezza (e poi ripristinato dal decreto del 2020). All’epoca, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva rilevato che tali obblighi, «pur se non espressamente richiamati nel testo normativo», restavano comunque fermi in forza di «quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione».
Il riferimento all’art. 10 Cost. – che assicura il diritto d’asilo allo straniero al quale nel suo paese siano precluse libertà garantite dalla Costituzione italiana - aveva un significato preciso: il Quirinale attestava che, venuta meno la protezione umanitaria, i giudici avrebbero potuto applicare in via diretta l’art.10 Cost., dando comunque asilo allo straniero che non potesse accedere alla protezione internazionale o che non rientrasse nei limitati casi di protezione speciale. La scelta del ddl di cancellare il riferimento all’art. 10 ha un significato politico: è il messaggio che non possono concedersi permessi di soggiorno fuori dei casi previsti dalla legge, disconoscendo così clausola aperta di protezione dello straniero, nonché l’indicazione di Mattarella.
Infine, si rende più difficile la conversione del permesso di soggiorno al minore straniero quando raggiunge la maggiore età (art. 32 TUI). Basterà che la Direzione Generale dell’immigrazione presso il ministero del Lavoro ometta di rilasciare il parere previsto, e la richiesta di conversione si intenderà rifiutata. Cioè la mera inerzia dell’ente potrà legittimare conseguenze così dannose.
Attualmente l’esame dei ddl della Camera è sospeso. Il decreto Cutro, che pure disciplina ipotesi di permessi di soggiorno, come visto, ha iniziato l’esame al Senato, e i regolamenti parlamentari prevedono che le due Camere non deliberino parallelamente sugli stessi argomenti.
La protezione per motivi umanitari in Europa
Si sente spesso dire che una forma di protezione diversa da quella internazionale esiste solo in Italia. Non è proprio così. Diversi Stati in Europa prevedono protezioni complementari. In Germania si può ottenere un permesso di soggiorno di almeno un anno, rinnovabile, qualora ricorrano determinate condizioni individuali o legate alla situazione del Paese di provenienza. In Austria, la domanda di asilo può essere accolta in presenza di elementi quali l’esistenza sul territorio di rapporti familiari, di una vita privata o di un tessuto relazionale che necessitino tutela. Determinanti sono pure fattori, come la conoscenza della lingua parlata sul territorio, idonei a consentire l’integrazione sociale, economica e culturale del soggetto interessato. Anche Svezia, Svizzera e Belgio prevedono misure di protezione di carattere complementare e su basi umanitarie, per lo più legate all’integrazione e all’adattamento dello straniero sul territorio.
Pertanto, affermare che la restrizione delle ipotesi di permesso speciale è giustificata dal fatto che tale permesso sarebbe un pull factor, cioè un elemento che incentiva l’arrivo di stranieri, non regge. Ciò è confermato dai dati dell’ultimo rapporto del Consiglio italiano per i rifugiati: nel 2022 sono state presentate 77.195 richieste di asilo in Italia, a fronte delle 217.735 presentate in Germania, 137.505 in Francia e 116.140 in Spagna (dati Eurostat al 31 dicembre 2022 e consolidati alla data del 21 febbraio 2023). Le domande in Italia, quindi, sono state poco più di un terzo (il 35%) rispetto a quelle che ci sono state in Germania, il 56% di quelle in Francia e il 66% di quelle in Spagna. In rapporto alla popolazione ciò si traduce in 262 richieste ogni 100.000 abitanti per la Germania, 245 per la Spagna, 203 per la Francia e 131 per l'Italia.
Gli impatti del disegno di legge sull’immigrazione
Ogni legge necessiterebbe che ne venissero stimati gli impatti, ma raramente viene fatto.
Il citato rapporto della CIR riporta che nel 2022 ha ricevuto la protezione speciale il 21% dei richiedenti, cioè 10.865 persone. Le quali, a seguito del decreto Cutro, e poi con l’approvazione della proposta di legge in discussione, sono destinate alla clandestinità. Un paradosso, per un governo che dichiara in ogni occasione di voler eliminare l’immigrazione irregolare. Anche perché, al di là di blocchi nei paesi di origine e di piani Marshall, e in mancanza di canali di ingresso regolari – i corridoi umanitari permettono l’entrata di numeri esigui di rifugiati, mentre il decreto flussi è per lo più una sanatoria mascherata di chi già è in Italia - i migranti continueranno ad arrivare comunque, e in modo illegale.
Perché allora questi provvedimenti? In mancanza di risposte certe, sorge un ragionevole dubbio. Ovvero che il governo non intenda rinunciare alla presenza di immigrati irregolari: del resto, l’esistenza di un nemico da combattere è la cifra della sua narrazione, variamente declinata. Peraltro, più irregolari si creano, più rimpatri andrebbero effettuati. Invece, l’Italia ne fa pochi rispetto al numero di coloro i quali ne dovrebbe essere oggetto, data la difficoltà di stringere accordi con i paesi di provenienza. Secondo i dati della Corte dei Conti, tra il 2018 e il 2021, a fronte di 107.368 provvedimenti di espulsione, solo 21.366 persone sono tornate effettivamente al paese d’origine tramite rimpatri, ovvero un quinto del totale.
A proposito, perché sul sito del Viminale non sono riportati i dati sui rimpatri, mentre sono presenti, e con dovizia di particolari, quelli sugli arrivi? Questa mancanza di trasparenza - imputabile non solo a Piantedosi, poiché perdura da anni – può trovare diverse spiegazioni di tipo “politico”. Ma se si vuole fare in modo che le persone riescano a valutare il fenomeno dell’immigrazione con cognizione di causa, anche in termini di capacità di intervento dei diversi governi pro tempore, al di là di qualsivoglia narrazione, vanno resi pubblici tutti i dati necessari a capire. Trasparenza è accountability: chi esercita poteri pubblici deve rendere conto ai cittadini delle proprie azioni, con la massima chiarezza. Peccato che questo concetto in Italia spesso sfugga.
Immagine in anteprima: Presidenza del consiglio dei ministri / Creative Commons via Nigrizia