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Un recente rapporto dell’organizzazione no-profit Global Witness, con sede nel Regno Unito e negli Stati Uniti, illustra i dettagli di come una nuova corsa all’estrazione mineraria guidata dalla domanda di minerali per produrre energia pulita stia rischiando di riprodurre lo stesso modello di estrattivismo che ha impoverito i Paesi africani per secoli. L’indagine dell’organizzazione si fonda su alcuni progetti di estrazione di litio in Zimbabwe, Repubblica Democratica del Congo e Namibia: in tutti e tre i progetti estrattivi si ripetono le dinamiche di sfruttamento che hanno depredato i territori africani fino ad oggi, riproducendo forme di colonialismo estrattivo che di nuovo ha solo i materiali che vengono estratti.
Si sente sempre più spesso parlare della necessità della transizione energetica in quanto salvezza dal cambiamento climatico e dalla crisi ambientale; una transizione energetica basata su “nuovi materiali”, le cosiddette “terre rare”, necessarie per l’accumulo di energia e per i veicoli elettrici, ma non solo. Le terre rare servono infatti per il processo sempre più veloce di digitalizzazione dei servizi e per l’industria bellica. Litio, nickel, magnesio, cobalto: materie prime che aziende e Stati cercano di accaparrarsi perpetuando il saccheggio e lo sfruttamento intensivo dei territori dove vengono trovate. Sembra sempre più evidente che non sarà passare dall’estrazione e consumo delle risorse fossili all’estrazione e consumo delle terre rare la soluzione ai problemi ambientali; al contrario, la retorica della transizione energetica rischia di legittimare nuove devastazioni ambientali e sociali in nome di una energia che pulita non è.
L’ONG Global Witness lavora dal 1993 per spezzare i legami tra sfruttamento delle risorse naturali, conflitti, povertà, corruzione e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. “La pura ricchezza mineraria non si è sempre tradotta in sviluppo, in particolare per le comunità che vivono accanto alle miniere”, ha dichiarato l’autore del rapporto Colin Robertson, investigatore senior dell’organizzazione. Il team ha analizzato i progetti di estrazione del litio – un minerale essenziale per la produzione di batterie per veicoli elettrici e per l’accumulo di energia – in Zimbabwe, Repubblica Democratica del Congo e Namibia. I ricercatori hanno evidenziato il rischio che le future attività estrattive “favoriscano la corruzione, non sviluppino le economie locali e danneggino i cittadini e l’ambiente”. Una dinamica non nuova, soprattutto in Africa.
A gennaio di quest’anno, i residenti di Uis, nella Namibia occidentale, hanno iniziato a notare un convoglio quotidiano di camion che lasciavano un’area che credevano essere semplicemente un sito di estrazione mineraria artigianale. Secondo l’attivista Jimmy Areseb, i grandi veicoli passavano per la comunità diretti al porto di Walvis Bay, sulla costa occidentale del Paese. In realtà, i camion stavano esportando minerali, in una vasta operazione di cui i residenti sapevano ben poco. A marzo, la popolazione è scesa in piazza per protestare contro le attività della società mineraria cinese Xinfeng Investments, proprietaria dei camion e dell’entità che estraeva le risorse, sostenendo che l’azienda stava conducendo un’attività mineraria industriale su larga scala senza le dovute autorizzazioni o licenze sociali.
Secondo i documenti esaminati da Mongabay, una società namibiana, la Long Fire Investments, di proprietà dell’uomo d’affari January S. Likulano, ha acquistato 10 concessioni minerarie per un totale di circa 160 dollari per svolgere attività minerarie su piccola scala nella regione. Solo i cittadini namibiani possono richiedere i permessi per l’estrazione su piccola scala, che sono molto più economici dei permessi per l’estrazione industriale rilasciati alle società straniere. Il rapporto di Global Witness ha citato i legami tra la Long Fire Investments e la Tangshan Xinfeng HongKong Ltd., proprietaria della Xinfeng Investments, come prova del fatto che la società namibiana fosse una copertura per la Tangshan Xinfeng. In una richiesta di esportazione, la Long Fire Investments ha chiesto il permesso di esportare 55.000 tonnellate di minerale ricco di litio, per un valore di 32 milioni di dollari, alla Tangshan Xinfeng. Questo rapporto permette all’azienda cinese di trarre profitto da un importante giacimento di litio per una cifra irrisoria rispetto al suo valore effettivo, eludendo al contempo la necessità di un’adeguata valutazione dell’impatto ambientale per l’estrazione industriale e operando con permessi di estrazione su piccola scala. Le comunità locali e i parlamentari namibiani hanno inoltre accusato l’azienda di ospitare i lavoratori in “condizioni di apartheid” e di non aver mantenuto le promesse di costruire impianti di lavorazione in Namibia.
In Zimbabwe, un altro attivista, Farai Maguwu, direttore del Centro per la governance delle risorse naturali, ha descritto un’esperienza simile di esclusione e sfruttamento nella miniera di Bikita, definendola “tipico estrattivismo”. Nel gennaio 2022, la Sinomine, una società cinese, ha acquistato la Bikita Minerals, che gestisce la più grande miniera di litio della nazione dell’Africa meridionale. In seguito all’acquisizione, i nuovi proprietari hanno aumentato la produzione da 3.000 a circa 10.000 tonnellate al mese, principalmente per l’esportazione in Cina e Giappone, secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters. “Le comunità assistono ogni giorno alla partenza di camion carichi di minerali, ma non c’è alcun investimento in beni pubblici, nella sanità, nell’istruzione o nel sostegno a mezzi di sussistenza alternativi”, ha detto Maguwu. “Le aziende sono qui solo per saccheggiare. Non c’è alcun legame con le priorità delle comunità in cui operano”.
Ha descritto una situazione in cui le aziende consumano e inquinano le risorse idriche della comunità. I costi di queste azioni sono sostenuti dalle comunità in generale ma, quando si tratta dei profitti derivanti dallo sfruttamento minerario, le aziende si preoccupano principalmente di compensare i loro azionisti.
Nella RDC, due società straniere si contendono il controllo del vasto giacimento di litio di Manono, che potrebbe diventare la più grande miniera di litio dell’Africa. Il progetto è impantanato in accuse di corruzione e sfide legali da più di cinque anni. La società australiana AVZ Minerals e il colosso minerario cinese Zijin Mining Group Ltd sono entrambi in corsa per il controllo della concessione, con un ente minerario statale, Cominière, coinvolto in presunti rapporti sospetti con entrambi. Sebbene la miniera di Manono non abbia ancora prodotto alcun minerale di litio, il rapporto di Global Witness afferma che il progetto potrebbe aver generato circa 28 milioni di dollari per società di comodo costituite in paradisi fiscali, guadagni imprevisti realizzati attraverso la vendita di diritti minerari acquistati al di sotto del prezzo di mercato dalla Cominière controllata dal governo. Quasi nulla di questo denaro ha raggiunto le casse del governo della RDC o le comunità che vivono nei pressi del giacimento.
Paesi e multinazionali differenti, ma stesse dinamiche di devastazione e sfruttamento: a dover cambiare infatti è il modello estrattivista, un sistema politico, economico e sociale che produce enormi ricchezze per pochi e incalcolabili danni per la popolazione e gli ecosistemi. Un modello insostenibile, che in Africa assume anche le vesti del colonialismo straniero, anche se colorato di verde.
[di Monica Cillerai]