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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
Sempre più spesso, dopo notizie di incendi, uragani, ondate di calore, inondazioni, tempeste, siccità, sentiamo dire che dobbiamo cominciare ad abituarci a quella che presto potrebbe essere “la nuova normalità”. Se non facciamo nulla, quel che oggi sembra una eccezione, sarà la prassi. Eppure parlare di “nuova normalità” fa pensare che quello a cui stiamo assistendo sia un processo irreversibile, lento, lineare e, per certi versi, naturale e a noi estraneo. Ma così non è.
“Questa non è la nuova ‘normalità’ e il clima non sta solo cambiando, si sta destabilizzando”, scrive Greta Thunberg nel suo ultimo libro “The Climate Book” (in uscita il prossimo 1 novembre) e di cui il Guardian ha pubblicato alcuni estratti. “Finora, i sistemi naturali della Terra hanno agito come un ammortizzatore, attenuando le drammatiche trasformazioni in corso. Ma la resilienza planetaria che è stata così vitale per noi non durerà per sempre e le prove sembrano suggerire sempre più chiaramente che stiamo entrando in una nuova era di cambiamenti più drammatici”.
E dunque, il cambiamento climatico non è “un processo lento e persino piuttosto innocuo” come può apparirci. La trasformazione spesso inizia lentamente, ma poi comincia ad accelerare. “Gli schemi e i cicli naturali delicatamente equilibrati, che sono una parte vitale dei sistemi che sostengono la vita sulla Terra, vengono stravolti e le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Perché ci sono punti di svolta negativi, punti di non ritorno. E non sappiamo esattamente quando li attraverseremo. Quello che sappiamo, però, è che si stanno avvicinando terribilmente, anche quelli più grandi”.
Per avere anche solo una piccola possibilità di evitare di innescare reazioni a catena irreversibili che vanno ben oltre il controllo umano, prosegue Thunberg, abbiamo bisogno di tagli alle emissioni drastici, immediati e di vasta portata alla fonte. “Quando la vasca da bagno sta per traboccare, non si vanno a cercare secchi o si inizia a coprire il pavimento con gli asciugamani: si inizia chiudendo il rubinetto, appena possibile. Lasciare l'acqua aperta significa ignorare o negare il problema, ritardare l'intervento per risolverlo e minimizzare le sue conseguenze”. Thunberg lo ha ribadito anche in questi giorni in una intervista alla tv pubblica tedesca Ard. Alla domanda se l’energia nucleare possa fare al caso del contrasto alla crisi climatica (con chiari riferimenti alla decisione della Germania di chiudere le tre centrali nucleari ancora esistenti entro la fine dell’anno e di rilanciare le centrali elettriche a carbone per ridurre la produzione di elettricità dal gas), l’attivista svedese ha risposto: “Dipende. Se sono già in funzione, credo che sarebbe un errore spegnere le centrali esistenti e passare al carbone”.
Nel libro da lei curato, Thunberg si è avvalsa della collaborazione di oltre 100 esperti che concordano sulla necessità di un cambiamento di sistema per raggiungere gli obiettivi climatici. Stare entro l’aumento di 1,5°C dalle temperature dell’era pre-industriale, come previsto dall’Accordo di Parigi del 2015, “richiederebbe letteralmente la rottura di contratti e accordi validi su una scala inimmaginabile. Questo dovrebbe dominare ogni ora i nostri notiziari, le discussioni politiche, le riunioni di lavoro e ogni centimetro della nostra vita quotidiana”. Ma non è quello che sta accadendo.
In un altro estratto del libro, il Guardian propone i contributi di alcune persone, tra attivisti, scrittori, climatologi, accademici, contattate da Greta Thunberg per il suo libro: nove idee per salvare il pianeta che, nel loro insieme, conducono a quel cambiamento di sistema auspicato dall’attivista svedese.
1) Svincolare la politica dalle lobby
“Dobbiamo vietare le donazioni, dirette e indirette, alle campagne elettorali da parte delle aziende e dobbiamo fermare la porta girevole tra lobbisti aziendali e legislatori, in modo che scrivere leggi e regolamenti di un settore non diventi un terreno fertile per adottare politiche a favore dell'inquinamento”.
(Naomi Klein, scrittrice)
2) Basta combustibili fossili per macchine, barche e autobus
“È ora possibile - e necessario - per gli esseri umani porre fine alla loro abitudine alla combustione, che risale a 200.000 anni fa. Le fiamme ci sono state utili nella preistoria e hanno reso ricchi alcuni di noi durante la rivoluzione industriale. Ma ora dobbiamo smettere di dare fuoco alle cose e affidarci al fatto che il buon Dio ha messo in cielo una grande palla di gas incandescente che abbiamo l'ingegno di sfruttare appieno. Spegniamo le scintille che accendono le cucine, i forni, le centrali elettriche, i motori di automobili, barche e autobus. E facciamolo in fretta”.
(Bill McKibben, ambientalista)
3) Rendere verde l'assistenza sanitaria
“Il settore sanitario affronta molte delle conseguenze del cambiamento climatico. Allo stesso tempo, è responsabile di circa il 5% delle emissioni di carbonio, un contributo significativo al cambiamento climatico, mentre centinaia di milioni di persone sono ancora assistite in ospedali e cliniche senza elettricità. Lo scorso anno, 60 paesi si sono impegnati a rendere i loro sistemi sanitari più resilienti al clima e a ridurre le emissioni di carbonio derivanti dall'assistenza sanitaria. L'OMS chiede a tutti i paesi di assumere lo stesso impegno e di fornire elettricità pulita e affidabile a tutte le strutture sanitarie”.
(Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità)
4) Passare ai materiali riciclabili
“Nella nostra società dell'usa e getta, l’utilizzo di oggetti di plastica sembra la normalità. Un'idea semplice racchiude la chiave per invertire la tendenza: il riutilizzo. Dobbiamo passare a imballaggi riutilizzabili che restino in circolazione e, cosa fondamentale, fuori dall'ambiente”.
(Nina Schrank, attivista senior, Greenpeace UK)
5) Tassare adeguatamente i ricchi
“Per combattere il cambiamento climatico dobbiamo investire massicciamente per decarbonizzare i nostri sistemi di trasporto, di energia e di produzione: per questo abbiamo bisogno di miliardi di euro. I ricchi dovrebbero pagare la loro giusta quota di tasse per finanziare questi sforzi. Ciò è tanto più legittimo se sappiamo che i ricchi contribuiscono in modo sproporzionato al cambiamento climatico. A livello globale, il 10% della popolazione contribuisce a circa la metà di tutte le emissioni e ci sono anche grandi disuguaglianze di inquinamento all'interno di ogni paese”.
(Thomas Piketty e Lucas Chancel, economisti)
6) Dare potere ai paesi più poveri
“Possiamo salvare il pianeta se riusciamo a salvare la nostra comune umanità. Dobbiamo passare da una società diseguale a una che comprenda veramente l'interdipendenza di cui ha bisogno il nostro futuro comune. Abbiamo bisogno che la giustizia climatica sia al centro dell'azione per il clima”.
(Sunita Narain, ambientalista)
7) Processi decisionali di alta qualità
“Per affrontare le complesse sfide sistemiche poste dalla crisi climatica sono necessari processi decisionali chiari e di alta qualità. Al momento, questo processo è in gran parte ostacolato da agende nascoste, disonestà e avidità. La mia idea per salvare il pianeta è quindi quella di coltivare e insistere su standard molto più elevati di onestà tra i nostri decisori politici e aziendali. Altrimenti, nulla funzionerà”.
(Mike Berners-Lee, autore)
8) Rigenerare la biodiversità del pianeta
“Il Rewilding può riparare non solo i nostri sistemi viventi, ma anche il nostro rapporto con essi. Consentendo alle foreste, alle zone umide, alle savane, alle barriere coralline e ad altri ecosistemi in via di esaurimento di ritornare e rigenerarsi, il rewilding potrebbe contemporaneamente contribuire a fermare la sesta grande estinzione e ad abbattere gran parte del carbonio che abbiamo rilasciato nell'atmosfera”.
(Rebecca Wrigley, direttrice di Rewilding Britain, e George Monbiot, scrittore)
9) Raggiungere la giustizia climatica
“Gli Stati Uniti sono uno dei maggiori inquinatori del mondo. Hanno anche una grande influenza sui negoziati sul clima. Un cambiamento importante nella nostra situazione politica ed economica globale consisterebbe nel togliere il potere che le multinazionali hanno sulle legislature, sui tribunali e sui sistemi di regolamentazione degli Stati Uniti, e ridurre la loro influenza sui negoziati globali e sugli impegni assunti da altre nazioni. In sintesi, per raggiungere la giustizia climatica, dobbiamo fare in modo che il potere resti nelle mani del popolo”.
(Jacqueline Patterson, fondatrice e direttrice esecutiva del Chisholm Legacy Project)
Se non ridurremo le emissioni, l'Europa è destinata alla siccità
Quest’estate praticamente tutta Europa ha avuto a che fare con estenuanti e prolungate ondate di calore e periodi di siccità. Una combinazione di temperature record e scarse precipitazioni ha causato l'inaridimento dei fiumi, l'esplosione di incendi e la perdita di raccolti che ha aggravato i già alti prezzi dei prodotti alimentari. “La siccità di quest’anno sembra essere più persistente, più intensa e più estesa di quella del 2018, finora la peggiore mai registrata dal 1500”, ha dichiarato al New European Andrea Toreti, ricercatore senior del Joint Research Centre della Commissione Europea.
Secondo quanto rilevato dal servizio World Weather Attribution, le alte temperature registrate nell'emisfero settentrionale sarebbero state "virtualmente impossibili" senza i cambiamenti climatici. E non solo: con il clima attuale nell'emisfero settentrionale potremmo dover avere a che fare con siccità di questa intensità una volta ogni 20 anni. Mentre, in un mondo privo di cambiamenti climatici, condizioni simili si verificherebbero appena una volta ogni 400 anni.
“L'aspetto dell'Europa nel 2030 e nel 2050 dipende dalle azioni che mettiamo in atto oggi in termini di mitigazione e adattamento”, spiega Toreti. “Se non facciamo nulla, se non si pone un freno al riscaldamento globale, riducendo immediatamente le emissioni di gas serra, queste siccità estreme potrebbero verificarsi quasi ogni anno entro il 2050. Il mondo intero cambierà radicalmente”.
Oltre agli ovvii effetti della siccità su piante e animali, una diffusa scarsità d'acqua avrà ripercussioni anche sulla produzione di energia, sull'industria, sulla produzione alimentare, sulla biodiversità e forse anche sugli spostamenti della popolazione mondiale. La scarsità d'acqua e l'innalzamento delle temperature potrebbero far spostare sempre più persone dal sud dell’Europa, climaticamente ostile, verso il nord.
Le soluzioni sono ormai note, scrive il New European. Il mondo deve ridurre rapidamente le emissioni, decarbonizzare le nostre società, ad esempio adottando le energie rinnovabili, passando alle auto elettriche, mangiando meno carne e producendo meno rifiuti. Ma la politica complica il quadro, contrapponendo le nazioni produttrici di combustibili fossili agli Stati insulari vulnerabili e ad altre comunità fortemente colpite dalla crisi climatica, e trasformando un problema condiviso in una lotta per proteggere prima di tutto se stessi.
"Il mondo può andare in due direzioni. Può andare verso il conflitto, perché competiamo per le risorse... e le nostre economie vengono danneggiate, oppure può andare nella direzione opposta e portarci a cooperare per rafforzare le istituzioni internazionali e cercare di renderci più resilienti”, ha commentato Piers Forster, professore di fisica del clima all'Università di Leeds e direttore del Priestley International Centre for Climate.
Da questo punto di vista, i privati sono più avanti dei governi, aggiunge Forster. “Le istituzioni finanziarie globali stanno riconoscendo la realtà - e le conseguenze - dell'emergenza climatica e della conseguente siccità. Si rendono conto che è necessario agire, ad esempio, per garantire le catene di approvvigionamento globali, e questo potrebbe spingere a un cambiamento istituzionale”.
I paesi UE ancora lontani da un’azione comune per contrastare la crisi energetica
Mentre i prezzi del gas scendono intorno ai 150 euro per megawattora per la prima volta da luglio (siamo ancora lontani dai 38 euro per megawattora di un anno fa), lo scorso fine settimana c’è stato l’incontro a Praga tra i primi ministri dei paesi UE per discutere delle misure da adottare per fronteggiare la crisi energetica. Secondo quanto riportato da Politico, non sono stati fatti grandi passi in avanti: “Tantissime domande sono rimaste senza risposta. Ogni decisione – compresa l’ipotesi di porre un tetto ai prezzi del gas – è stata rinviata a vertici futuri”.
Si è discusso molto anche dell'opportunità di aumentare il debito comune dell'UE per coprire i costi energetici sempre più elevati. Soluzione respinta dal cancelliere tedesco Olaf Scholz che, in una conferenza stampa, ha proposto invece di utilizzare i fondi UE per la ripresa delle economie nazionali dopo i lockdown per la pandemia. L’unico punto di convergenza è stata la proposta di avviare nuovi colloqui con fornitori alternativi di gas per acquistarlo in maggiori quantità a prezzi più bassi, aggiunge Financial Times. Dall’inizio della guerra in Ucraina i paesi UE hanno speso 100 miliardi di euro per i combustibili fossili russi e continuano a essere i principali importatori dalla Russia.
Il calo complessivo stimato dell'11% del consumo totale di gas nella prima metà dell'anno è stato controbilanciato da un aumento dell'uso di prodotti petroliferi dell'8%, del carbone fossile del 7% e della lignite del 12%, secondo i dati dell'agenzia governativa Eurostat. Di conseguenza, secondo le stime del Centro di ricerca sull'energia e l'aria pulita (Crea), le emissioni di anidride carbonica nell'UE sono probabilmente aumentate di circa il 2% nella prima metà del 2022. A livello globale, riferisce il think tank Ember, nei mesi di luglio e agosto si è registrato un aumento della produzione di carbone e gas a causa della siccità record e delle ondate di calore che hanno fatto crescere la domanda di elettricità.
Intanto, riporta il Guardian, la Commissione Europea sarebbe in procinto di rivedere il Trattato sulla Carta dell’Energia (TCE) che finora ha consentito alle compagnie di combustibili fossili di fare causa ai governi per l'adozione di misure climatiche contro le loro emissioni.
Il TCE è un accordo internazionale, al quale hanno aderito 52 paesi, che stabilisce un quadro multilaterale per la cooperazione nell'industria dell'energia, e dei combustibili fossili in particolare, da parte di nazioni confinanti. È nato come tentativo di difendere le entrate delle imprese energetiche europee che hanno investito nelle economie dell'ex Unione Sovietica dopo la caduta della cortina di ferro. Consente loro di citare in giudizio gli Stati in un sistema giudiziario segreto quando ritengono che le loro aspettative di profitto siano state danneggiate da decisioni politiche. Ma questo potrebbe esporre gli Stati ad azioni legali in caso di chiusura di progetti di estrazione di petrolio, carbone o gas per raggiungere l'obiettivo di emissioni nette zero dell'UE per il 2050. Si ritiene che più di due terzi degli investimenti energetici dell'UE protetti dal trattato provengano da investitori con sede all'interno del blocco e, secondo alcune stime, per un giro complessivo di 1,3 miliardi di dollari entro il 2050.
Le implicazioni della guerra in Ucraina per gli obiettivi climatici dei paesi asiatici
Un articolo di AP fa il punto sulle implicazioni della guerra in Ucraina sugli obiettivi climatici dei paesi asiatici. In seguito alla crisi energetica in Europa e allo sconvolgimento dei mercati energetici globali, la maggior parte dei paesi asiatici sta dando priorità alla sicurezza energetica, a volte anche discapito dei propri obiettivi climatici. “Siamo a un bivio davvero importante”, ha dichiarato Kanika Chawla, dell'Unità per l'energia sostenibile delle Nazioni Unite. “Gli Stati asiatici potrebbero raddoppiare gli investimenti in energia pulita o decidere di non eliminare immediatamente i combustibili fossili”.
In Sri Lanka le centrali a carbone e a petrolio, l’energia idroelettrica e un po' di energia solare stanno facendo fronte alla situazione. Gli enormi debiti impediscono l'acquisto di energia a credito, costringendo lo Stato a razionare il carburante per i settori chiave, con una carenza prevista per il prossimo anno. Il paese si è posto l'obiettivo di ottenere il 70% di tutta l'energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e mira a raggiungere lo zero netto - bilanciando la quantità di gas serra emessi con quella sottratta all'atmosfera - entro il 2050. Tuttavia, allo stato attuale, questi obiettivi sembrano essere più un’aspirazione che realtà, spiega Murtaza Jafferjee, direttore del think tank Advocata Institute.
La Cina, attualmente il primo emettitore di gas serra al mondo, mira a raggiungere lo zero netto entro il 2060, il che richiede una significativa riduzione delle emissioni. Ma dal dopoguerra, la Cina non solo ha importato più combustibili fossili dalla Russia, ma ha anche aumentato la propria produzione di carbone. La guerra, unita a una grave siccità e a una crisi energetica interna, ha spinto il governo a privilegiare la sicurezza energetica alla alla riduzione delle fonti combustibili fossili. Tuttavia, il vicedirettore del dipartimento di pianificazione dell'Amministrazione nazionale dell'energia (NEA), Song Wen, ha dichiarato che la Cina "si concentrerà su tre aree per promuovere lo sviluppo di infrastrutture energetiche di alta qualità". Tra queste, “gigantesche basi eoliche e solari principalmente nel deserto del Gobi e in altre regioni aride, basi idroelettriche nel sud-ovest della Cina e la costruzione di canali di uscita dell'energia con un rapporto di trasmissione di energia rinnovabile in linea di principio non inferiore al 50%”.
L'India, il terzo emettitore al mondo, punta a raggiungere le emissioni zero nette circa un decennio dopo la Cina, coniugando la transizione energetica al maggiore incremento di domanda di energia nei prossimi anni. Si stima che il paese avrà bisogno di 223 miliardi di dollari per raggiungere i suoi obiettivi di energia pulita nel 2030. Come la Cina, l'India sta cercando di aumentare la produzione di carbone per ridurre la dipendenza dalle costose importazioni e continua ad acquistare il petrolio russo nonostante le richieste di sanzioni. Anche l'India sta investendo molto nelle energie rinnovabili e si è impegnata a produrre il 50% della sua energia da fonti pulite entro il 2030.
Sia il Giappone che la Corea del Sud stanno spingendo per l'energia nucleare dopo l'invasione russa dell'Ucraina. Le sanzioni contro le importazioni di carbone e gas dalla Russia hanno spinto il Giappone a cercare fonti energetiche alternative, nonostante siano ancora forti i sentimenti antinucleari in seguito al disastro di Fukushima del 2011. Pur non avendo subito ripercussioni a breve termine sulle forniture energetiche, poiché riceve gas dal Qatar e dall'Australia e il petrolio dal Medio Oriente, la Corea del Sud sta spingendo per l’energia nucleare e si è detta riluttante a ridurre drasticamente la dipendenza dal carbone e dal gas per evitare contraccolpi economici dalla guerra in Ucraina e tenersi al riparo dalla concorrenza europea sui mercati del gas e del petrolio.
Il piano dell’Australia per fermare la perdita di specie e habitat a rischio
L’Australia registra uno dei più alti tassi al mondo di perdita di specie e habitat a causa dei cambiamenti climatici. E così il nuovo governo ha deciso di predisporre un piano per evitare ulteriori perdite e salvaguardare 110 specie e 20 habitat a rischio.
Il piano, decennale, prevede l'impegno del governo laburista di centro-sinistra a conservare il 30% della superficie terrestre del paese, allineandosi a decine di altre nazioni che hanno sottoscritto lo stesso obiettivo. Finora è attualmente protetta circa il 22% della superficie australiana, arrivare al 30% significherebbe 61 milioni di ettari in più.
Il governo non ha stanziato, tuttavia, nuovi fondi per l’attuazione del piano. "Non è possibile raggiungere l'obiettivo di fermare le estinzioni sulla base delle risorse finanziarie disponibili", spiega al New York Times James Watson, professore di scienze della conservazione presso l'Università del Queensland. “Per salvare tutte le specie minacciate in Australia sarebbero necessari molti più soldi, circa 1,3 miliardi di dollari australiani”, ha aggiunto Watson. Per quanto “l'approccio del nuovo governo laburista rappresenti un miglioramento rispetto a un decennio di ‘terribili’ strategie di conservazione del precedente governo conservatore (...) in Australia ci sono più di 1.700 specie minacciate e, se ci si concentra su 110 specie, non ci sarà modo di soddisfare le esigenze delle altre 1.600”.
Secondo un recente studio della Oxford Brookes University, primati e lemuri stanno abbandonando gli alberi per cercare ombra e acqua e ristorarsi dalle temperature troppo alte a causa del riscaldamento globale e del diradarsi delle foreste tropicali. Lo studio si basa su 150.000 ore di osservazione di 47 specie di primati che vivono sugli alberi in quasi 70 siti in Madagascar e nelle Americhe. Le specie che riescono ad adattarsi a vivere a terra “potrebbero avere maggiori probabilità di sopravvivere in futuro”, mentre “i primati meno avvantaggiati per questa transizione saranno sempre più a rischio”.
Immagine in anteprima via The Philadelphia Citizen