Pesticidi, emissioni, ripristino degli ecosistemi: il destino incerto del Green Deal dopo le proteste dei trattori

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Le manifestazioni degli agricoltori hanno già convinto Ursula von der Leyen a rinunciare ad alcuni pilastri della «strategia verde» europea. E ora altri rischiano di essere accantonati

Le elezioni europee di giugno saranno anche – o forse soprattutto – un referendum sulle politiche ambientali e climatiche dell’Unione Europea. La conferma è arrivata dalla «rivolta dei trattori», che non solo ha infiammato – in alcuni casi letteralmente – le piazze di tutta Europa ma ha anche dato un’importante spinta alla campagna elettorale. Nel mirino degli agricoltori ci sono questioni economiche ma anche ambientali, che spesso traggono origine dal Green Deal, il pacchetto di misure attraverso cui l’Ue punta a rivoluzionare la propria economia per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Le politiche ambientali e climatiche rappresentano indubbiamente una delle principali eredità politiche della Commissione europea targata Ursula von der Leyen. In attesa di sapere se il Green Deal sarà potenziato, ritoccato o addirittura smantellato, il futuro di alcuni provvedimenti cardine della strategia europea resta appeso a un filo. A maggior ragione dopo le proteste degli agricoltori, che sembrano aver convinto i vertici europei – ma anche il governo francese – a frenare sulle misure più ambiziose e contestate.

Pac, pesticidi e obiettivi sul clima: i primi provvedimenti saltati

Alla vigilia del Consiglio europeo del 1° febbraio, von der Leyen ha fatto un primo tentativo di andare incontro alle richieste del settore agricolo posticipando di un anno l’entrata in vigore di alcuni obblighi ambientali previsti dalla Pac, la Politica agricola comune. La riforma approvata nel 2021 prevede che gli agricoltori che possiedono più di 10 ettari lascino a riposo almeno il 4% dei propri terreni coltivabili. L’obbligo sarebbe dovuto scattare a inizio anno, ma la marcia dei trattori su Bruxelles ha convinto l’esecutivo Ue a rinviare tutto al 1° gennaio 2025. Una settimana dopo il Consiglio europeo, von der Leyen ha fatto altre due concessioni tanto generose quanto inaspettate. La prima è il ritiro della proposta di legge sui pesticidi, uno dei provvedimenti cardine del Green Deal ma anche uno dei più contestati dagli agricoltori. La seconda riguarda gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati per il 2040. Entro quella data, la Commissione europea ha proposto di raggiungere un taglio del 90% delle emissioni climalteranti rispetto ai livelli del 1990, ma rispetto alle prime bozze del documento sono spariti i riferimenti agli obiettivi per il settore agricolo. Secondo Alessandra Moretti, europarlamentare del Pd, «questi sono sicuramente campanelli d’allarme», che rivelano un «atteggiamento remissivo» da parte di Ursula von der Leyen. «Il suo principale obiettivo ora è essere riconfermata alla guida della Commissione europea e per riuscirci – spiega Moretti – ha bisogno di strizzare l’occhio a certi movimenti che sono più a destra rispetto alla sua formazione politica. Ma trovo inaccettabile che decida di rinunciare a politiche portate avanti per cinque anni».

I 166 mattoncini del Green Deal

Le proteste degli agricoltori, insomma, hanno già inflitto alcuni duri colpi al Green Deal europeo. La questione ora è un’altra: ci saranno altri passi indietro da qui alle elezioni di giugno? «Ci sono dei rischi, sì», ammette l’europarlamentare del Pd. Sui diversi dossier del Green Deal le divisioni a Bruxelles e Strasburgo ricalcano grosso modo il tradizionale confine tra destra e sinistra. Da un lato ci sono i Verdi, il centrosinistra di S&D e i centristi di Renew che votano a favore dei provvedimenti più ambiziosi. Dall’altro ci sono le destre di Ecr, di cui fa parte Fratelli d’Italia, e Identità e Democrazia (I&D), di cui fa parte la Lega. A fare da ago della bilancia è però il gruppo più numeroso – e quindi più potente – del Parlamento europeo, i Popolari, che spesso invocano un approccio più morbido e graduale alla transizione ecologica. Il Green Deal è stato svelato per la prima volta nel 2019 e ad oggi rappresenta un pachiderma legislativo composto da 166 diversi dossier. Di questi: 58 sono stati approvati in via definitiva, 79 sono ancora alle prime fasi dell’iter e 8 sono stati ritirati o accantonati. A completare l’elenco sono 21 provvedimenti che il sito del Parlamento europeo dà come «vicini all’adozione».

L’ultimo ostacolo della Nature restoration law

Tra questi c’è anche la contestatissima Legge sul ripristino della natura, su cui il parlamento europeo potrebbe esprimersi definitivamente prima delle elezioni. Lo scorso novembre, le istituzioni europee hanno raggiunto un’intesa di massima sul provvedimento, che punta a ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e ripristinare tutti gli ecosistemi entro il 2050. «Anche se fortemente modificata, è una proposta fatta male e da respingere», spiega a Open Herbert Dorfmann, eurodeputato e portavoce del Ppe per l’agricoltura. Il dossier potrebbe finire in aula a marzo, ma la protesta dei trattori potrebbe convincere i vertici Ue a spostare tutto a dopo le elezioni. «Se riusciamo a posticipare oppure a votare contro, io sono contento», precisa Dorfmann. A chiedere l’approvazione definitiva del provvedimento è invece Alessandra Moretti, secondo cui «non è vero che la normativa colpisce il settore agricolo, anzi lo sostiene e lo tutela».

Gli altri dossier in bilico

Ma la Legge sul ripristino della natura non è l’unico provvedimento del Green Deal che rischia di saltare. Ci sono almeno altre due iniziative legislative che coinvolgono in qualche modo il settore agricolo. La prima riguarda la direttiva sulle emissioni industriali. «All’ultimo trilogo – ricorda Dorfmann – è stato deciso di escludere i bovini, ma sono stati fissati limiti più severi per le emissioni legate a suini e avicoli». L’altro dossier su cui potrebbero pesare le proteste degli agricoltori riguarda la direttiva per il monitoraggio del suolo. In questo caso, però, la proposta deve ancora passare dalla Commissione Ambiente del parlamento europeo e, spiega l’europarlamentare del Ppe, «è difficile che riusciremo ad avere un voto in plenaria prima delle elezioni». Altri provvedimenti del Green Deal, che non riguardano direttamente gli agricoltori, dovrebbero procedere invece senza intoppi verso l’approvazione finale. È il caso della cosiddetta «direttiva case green», su cui è stata trovata un’intesa a fine 2023. Oppure il regolamento sull’Ecodesign, che ha come prima firmataria proprio Alessandra Moretti e mira a istituire standard minimi di sostenibilità per la maggior parte dei prodotti presenti sul mercato. «Non credo che il testo subirà alcun rallentamento», assicura l’eurodeputata del Pd. Certo, sullo sfondo restano le elezioni di giugno, che potrebbero consacrare il Green Deal ma anche spedirlo in soffitta.

Foto di copertina: EPA/Stephanie Lecocq | Una protesta degli agricoltori a Bruxelles, in Belgio (3 marzo 2023)

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